Sdrogabrescia

Usi e abusi

Certificare nei servizi tossicodipendenze*

Certificare nei servizi pubblici e privati accreditati per le tossicodipendenze: chi , cosa, per chi , quando e perché

Attenzione: il contenuto di questa note rappresenta esclusivamente il  punto di vista delle autrici. Poiché si tratta di materia di rilevanza (anche) penale,  suggeriamo, quindi, in caso di dubbi, di consultarsi, almeno, con il proprio ordine.

Prima parte: principi generali  e certificazioni in ambito extrapenitenziario

di Mariagrazia Fasoli

aggiornato ad aprile 2010 (prima versione Montichiari, 1998)

vai al documento in versione pdf

 Seconda  parte: Certificazioni in area penale

di Daniela Rossi Romano, aggiornato a novembre 2011

versione PDF

Queste brevi note tecniche sono  orientate a supportare le procedure di certificazione degli operatori sociosanitari, prevalentemente dei servizi territoriali per le  tossicodipendenze e le alcoldipendenze. L’attività certificatoria che si va ad approfondire riguarda complessivamente la fase di esecuzione della pena, tranne che per qualche contributo relativo alla fase processuale per la valutazione dell’imputabilità (a dimostrazione dello stato di dipendenza del soggetto) e per l’articolazione di un progetto terapeutico durante la gestione degli arresti domiciliari. La premessa di base è la constatazione che, quando un soggetto compie un’azione che la legge qualifica come reato, viene condannato se al momento del fatto  era capace di intendere e di volere.  Se invece si trova sotto l’effetto di sostanze psicotrope che, in qualche modo,  alterano la sua integrità psichica, il giudice valuta, con l’ausilio di periti forensi (che possono chiedere un riscontro diagnostico documentale ai servizi territoriali), se, come e in che misura la pena possa essere applicata. In alcuni casi la pena può essere aumentata in base a norme previste dal Codice Penale (CP).  In altri può essere “sospesa”, ma viene applicata  una “misura di sicurezza” che può riguardare anche il programma residenziale in comunità terapeutica. In questo caso gli operatori dei Servizi Tossicodipendenze (SERT) e dei Servizi Multidisciplinari Integrati (SMI) potrebbero intervenire nella individualizzazione del progetto terapeutico del paziente. Come premesso, però, difficilmente la valutazione dell’imputabilità coinvolge gli operatori dei SERT/SMI tranne che non riguardi un soggtto già in carico. In questo caso, il compito dell’operatore non riguarda generalmente la valutazione della capacità di intendere e di volere, ma  piuttosto la attestazione di ciò di cui era a conoscenza per ragioni di servizio in base a quanto registrato e documentato in cartella clinica. Per quanto concerne l’imputabilità il legislatore opera un distinguo rispetto al tipo di sostanza e differenzia l’alcol dalle sostanze illecite. Dopo che il reato è stato giudicato, invece, la risposta istituzionale alla dipendenza alcolica si sovrappone a quanto previsto per la dipendenza da stupefacenti. Idealmente, varcata la soglia del carcere, il soggetto alcoldipendente e quello tossicodipendente possono quindi avere lo stesso percorso esecutivo penale. Dovrebbe allora entrare in scena l’équipe socio-sanitaria chiamata dalla legge a svolgere ipotesi trattamentali e quindi a redigere certificazioni cliniche con valenza in ambito penale.  La realtà italiana è, a questo proposito, abbastanza diversificata. In alcune situazioni organizzative, viene identificata una Unità Operativa Carcere, interna al Dipartimento Dipendenze, che assorbe tutta l’operatività dedicata ai detenuti tossico-alcoldipendenti. In altri casi i singoli SERT/SMI  si occupano dei “propri” pazienti in carcere. In altri ancora questo ruolo viene svolto dal SERT/SMI che ha sede nel comune dove è situato il Carcere. In tutti i modelli organizzativi ai SERT/SMI rimane una vasta area di competenza e ciò richiede, oltre alle capacità cliniche, anche la conoscenza del quadro normativo con particolare riferimento all’evoluzione del Testo Unico (TU) n. 309 del 1990, legge quadro sulla tossicodipendenza, e alla normativa dell’esecuzione penale sia intramuraria sia esterna. Ci proponiamo quindi di presentare più semplicemente ciò che spesso gli operatori avvertono come complesso o estraneo a sé, forse perchè frutto di una semantica differente o di un differente valore attribuito ai medesimi atti clinici. Ripercorrendo velocemente un possibile paradigma, osserviamo che anche una semplice annotazione clinica assume un peso rilevante nel momento in cui attraverso un atto medico si “certifica” uno stato di dipendenza. E ciò soprattutto se il certificato riguarda un soggetto che sta per essere giudicato per un fatto configurabile come reato, potenzialmente comportante provvedimenti limitativi della libertà personale.  In questo caso, la certificazione di dipendenza potrebbe consentire all’interessato di usufruire di arresti domiciliari presso una comunità terapeutica disponibile ad effettuare il programma.  I soggetti che invece si trovassero già agli arresti domiciliari presso la propria abitazione e che avessero intenzione di accedere ad un SERT/SMI perché in stato di dipendenza devono ottenere l’autorizzazione del giudice competente per  recarsi al servizio purchè l’operatore documenti tale accesso verbalizzandone date e orari che dovranno essere di volta in volta registrati in cartella,  anche ai fini processuali. Le valutazioni diagnostiche e cliniche andranno poi relazionate, come vedremo oltre. In ogni caso l’adesione del paziente al trattamento dovrà essere volontaria, mantenendo comunque il soggetto quel margine di libera scelta sul proprio percorso esistenziale che si esprime nell’accettare o rifiutare un tipo di intervento. Ciò anche se per alcune circostanze, dettate soprattutto da ragioni di sicurezza sociale, il legislatore prevede che il trattamento privilegiato debba essere maggiormente contenitivo e debba offrire maggiori garanzie sul decorso e sull’esito dell’intervento stesso. Un’altra premessa importante va fatta anche rispetto alla durata del programma che non sempre coincide con la durata della pena, o per difetto o per eccesso. Quanto dovrebbe durare mediamente una presa in carico di un paziente per ottenere una remissione stabile? Discorso amplissimo e controverso anche per i colleghi più esperti. Entrano in causa fattori come la gravità della patologia, la disponibilità al cambiamento, le risorse personali, affettive e lavorative.  Se durante questo faticoso commino incontriamo anche la richiesta di una certificazione si avverte a volte la sensazione che  questo beneficio secondario diventi urgente ed impellente al punto da annebbiare altre motivazioni più personali e più profonde. Dobbiamo quindi chiederci se trattamento clinico ed esecuzione della pena debbano sempre coincidere nei tempi, negli obiettivi e negli strumenti da adottare. In parte la risposta è certamente positiva, ma in parte potrebbero essere considerati spazi temporali flessibili in cui ogni attore (giudice da una parte e clinico dall’altra) gioca il proprio ruolo, in scienza e coscienza, nel rispetto dell’unicità di ogni singolo caso che si sta valutando e trattando. Compito del diritto, infatti, è interpretare e applicare la legge generale al caso singolo, compito della clinica è comprendere ogni singolo evento (sintomo) e inquadrarlo in un contesto generale (diagnosi) orientando il metodo (trattamento) verso un obiettivo  (cura/guarigione/benessere/qualità di vita).   

 Daniela Rossi Romano          

Vai al documento 

Blog

Salute pubblica in rete

Democrazia al lavoro: pazienti, consumatori e cittadini

Tossicomanie ed altre dedizioni

Farmaci, droghe, veleni

Problemi correlati