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Usi e abusi

Prescrizione stupefacenti

LA PRESCRIZIONE DI OPPIACEI NELLA TERAPIA DELLE TOSSICOMANIE: ASPETTI MEDICO-LEGALI

di Mariagrazia Fasoli e Alessandra Ramera con Patrizia Furba, versione aggiornata al 2016 Versione PDF Parte Prima: Principi generali e Parte Seconda: Procedure mediche e infermieristiche

Premessa

Negli ultimi 35 anni vari provvedimenti legislativi e amministrativi, statali e regionali, hanno limitato o esteso la possibilità dei medici di effettuare, sulla base dei dati scientifici e nel rispetto del codice deontologico, terapie con farmaci sostitutivi per la tossicodipendenza da oppiacei. Tutto ciò ha suscitato una lunga serie di contenziosi sul piano politico, amministrativo e giudiziario. Molti provvedimenti legislativi sono stati adottati, in maniera estemporanea, sulla spinta di queste diatribe, spesso senza provvedere ad armonizzare l’intero corpo normativo, con il risultato di produrre incertezze a cui sono conseguiti ulteriori atti interpretativi che, a loro volta, hanno incrementato i dubbi di medici e pazienti.  Fare il punto della situazione in un determinato momento non risulta molto facile dato che l’interminabile vicenda è in perenne evoluzione e sembra ancora lontana dalla conclusione. Questa nota, nella sua prima parte, tenta di affrontare, facendo riferimento ai principi generali che, a nostro giudizio, dovrebbero guidare il comportamento di medici ed infermieri, alcuni degli aspetti che più frequentemente hanno dato origine a dubbi o problemi nella gestione delle terapie sostitutive. In una seconda parte, invece, verranno illustrate più dettagliatamente le procedure mediche ed infermieristiche che si dovrebbero attuare in base al complesso normativo attuale. La prescrizione di farmaci sostitutivi per la tossicodipendenza da oppiacei è avvenuta, infatti, in contesti organizzativi e culturali atipici rispetto alle condizioni in cui generalmente si svolge la terapia medica. Lo stesso termine “sostitutivo” suggerisce l’idea che non si tratti di una vera terapia ma di una “sostituzione” della “droga” e che, quindi, i pazienti (che, infatti, vengono generalmente chiamati “utenti”) non siano veri malati ma persone cronicamente “devianti” a cui si concede di accedere alla “droga di stato” per ridurre il danno sociale.  Tale atteggiamento, più o meno consapevole, ha indotto il personale sanitario, e i pazienti stessi, ad accettare, talvolta, procedure relativamente avulse da quanto la legge e le nozioni alla base delle professioni medico-infermieristiche prevedono per la gestione delle terapie. Particolarmente a disagio in questo contesto sembrano trovarsi gli infermieri. Questi operatori, che dal 1999 sono ormai dotati, anche legalmente, di autonomia professionale, e su cui gravano gran parte delle attività richieste per la gestione del farmaco, sono ancora penalizzati dal persistere di una vecchia immagine che li considera meri esecutori delle direttive del medico. Ciò produce, a volte, incertezze sulla ripartizione delle responsabilità in un ambito in cui anche gli aspetti penali devono essere considerati. Naturalmente, “vittime” di tale situazione sono soprattutto i pazienti sia per eventuali oggettivi danni che potrebbero loro derivare da alcune prassi sia perché lo stigma che colpisce chi si rivolge a un Ser.T. impedisce spesso una efficace difesa dei propri diritti. In questa nota prendiamo in considerazione una serie di problematiche che ci sono state concretamente rappresentate da operatori e pazienti di varie strutture. Come sempre, le soluzioni proposte, che non si pretende siano esaustive, rappresentano solo il punto di vista delle autrici. Sono tuttavia supportate da tutta la documentazione che ci è stato possibile reperire e che è stata ritenuta utile da molti colleghi e pazienti. Abbiamo inserito, quando possibile i collegamenti ipertestuali alle norme citate. Dobbiamo tuttavia avvertire che, purtroppo i siti istituzionali non sempre risultano affidabili e quindi abbiamo dovuto utilizzare anche link a siti privati che potrebbero anche modificare le proprie pagine web.

Prima parte: principi generali 

a cura di  Mariagrazia Fasoli, Alessandra Ramera, Patrizia Furba

Versione aggiornata con collegamenti ipertestuali al 10 febbraio 2016.

Ringraziamo per le osservazioni inviateci: il dott Fulvio Fantozzi, medico delle dipendenze e medico legale libero professionista, già direttore del SERT di Carpi (MO) e la dott. Elena Ducci, responsabile del SERT di Val Bisagno e della U.O. delle Strutture Penitenziarie ASL 3 Genovese,

Antefatto

Il Decreto Presidente della Repubblica (D.P.R.) 171/93 abrogò, a seguito di referendum popolare, i seguenti punti del Testo Unico (TU) 309/ 1990:

  • l’art. 2, punto 4), lettera e), comma 1), che attribuiva al Ministero della Sanità la competenza di stabilire con proprio decreto “i limiti e le modalità d’impiego dei farmaci sostitutivi”;
  • l’art. 72 comma 1 che vietava “l’uso personale di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui alle tabelle previste dall’art.14“ e “qualunque impiego di sostanze stupefacenti o psicotrope non autorizzato secondo le norme del presente testo unico”;
  • l’art. 72 comma 2 limitatamente alle parole “di cui al comma 1” il cui nuovo testo è pertanto “è consentito l’uso di preparati medicinali a base di sostanze stupefacenti o psicotrope debitamente prescritti secondo le necessità di cura in relazione alle particolari condizioni patologiche del soggetto”.

Il Ministero della Sanità emanò, in seguito a tale nuova situazione giuridica , non più un decreto, ma la circolare 20/94, contenente linee guida che suggerivano una serie di procedure (alcune delle quali successivamente superate da ulteriori norme legislative), e affermava, tra l’altro, che la consegna del farmaco avrebbe dovuto essere fatta solo “ad un famigliare referente” che, [i]attendibilmente”, garantisse sul suo uso appropriato, “stretto congiunto del paziente, scrupolosamente identificato e non sostituibile da altro famigliare se non per eccezionale necessità”. Tali indicazioni suscitarono, a suo tempo, una serie di critiche, principalmente perché si ritenne che indicassero, in certi punti, comportamenti gravemente illegittimi che, se attuati, avrebbero potuto anche configurarsi come reato. La circolare non venne tuttavia ritirata, e nemmeno impugnata, poiché, contenendo delle semplici linee-guida non vincolanti, non poteva essere annullata per via giurisdizionale.  La legge 8 febbraio 2001 n.12 introdusse una serie di modifiche agli articoli 41 e 43 della legge 309/90 allo scopo di regolamentare la prescrizione di stupefacenti fino a 30 giorni per la terapia analgesica, ma escluse l’applicabilità delle nuove norme alle terapie sostitutive per le tossicodipendenze che, quindi, restarono prescrivibili da qualsiasi medico, ma per dosaggi massimi pari a soli 8 giorni di terapia. La legge 49/2006 modificò nuovamente il Testo Unico 309/90 definendo, all’articolo 4 vicies ter, comma 13, un nuovo testo dell’articolo 43. In particolare, risultò modificato il comma 2, che consente ora la prescrizione di oppiacei fino a 30 giorni, mentre venne eliminato dal comma 3 ogni riferimento agli 8 giorni per i tossicodipendenti. Si previde inoltre esplicitamente (comma 5) la consegna del farmaco, con riferimento alla “persona a cui sono consegnati in affidamento i medicinali”, senza più cenno, quindi, a rapporti di parentela o ad altre limitazioni diverse da quelle gia previste dall’art. 44 per minorenni o “manifestamente infermi di mente“.  La consegna del farmaco deve però avvenire contestualmente all’esibizione di una prescrizione medica o di un piano terapeutico. Lo stesso articolo, tuttavia, prevede che il piano terapeutico sia predisposto da una “struttura sanitaria pubblica o da una struttura privata autorizzata ai sensi dell’art. 116, comma 2” (i cosiddetti “Ser.T. privati” o Servizi Multidisciplinari Integrati-SMI, attivati a tutt’oggi solo in Lombardia).  Venne quindi meno la possibilità per i medici non appartenenti alle succitate strutture specialistiche di prescrivere del tutto autonomamente farmaci sostitutivi per le tossicodipendenze da oppiacei (benchè, nel caso lo facciano, non siano previste sanzioni) mentre restò invariata la possibilità di farlo per la terapia analgesica.  Le successive leggi 38/2010 e 79/2014, che emendarono ulteriormente il TU 309/1990, non modificarono questa parte della normativa se non per alcune procedure relative alla tenuta dei registri. In particolare, nel 2014, la legge venne modificata in seguito alla dichiarazione di incostituzionalità delle norme contenute nella legge 49/2006, non in quanto ai contenuti ma perché inserite nella conversione di un decreto legge la cui necessità e urgenza era dovuta all’imminenza delle Olimpiadi invernali di Torino e quindi non pertinente alla normativa sugli stupefacenti.  Il conseguente nuovo decreto-legge (resosi, a questo punto, davvero necessario ed urgente, a causa del vuoto normativo) e la successiva legge di conversione 79/2014 modificarono, come si è detto, diverse procedure ma non intervennero sulla prescrivibilità dei farmaci per la terapia delle dipendenze. Pertanto, attualmente, nel nostro paese, la terapia sostitutiva per la dipendenza da oppiacei è limitata solo dal dettato della versione in vigore del TU 309/1990 che prevede, in sintesi: obbligo del registro di carico e scarico, divieto di consegna a minori e persone manifestamente inferme di mente, scopo terapeutico della prescrizione, consegna o prescrizione su ricettario ministeriale fino ad un massimo di 30 giorni di terapia, obbligo di piano terapeutico di una struttura pubblica o di uno SMI per i medici di fiducia dell’interessato. Per ogni altro aspetto valgono le norme applicabili a tutti i farmaci. Ciò non ostante, il successivo stratificarsi di normative e interpretazioni, anche da parte di autorità sanitarie locali, i ritardi di alcune regioni nell’emanare le necessarie direttive (o l’emanazione di direttive in contrasto con la legge dello Stato), la persistenza nei servizi di prassi consolidatesi in precedenti contesti, fanno sì che si ripetano situazioni problematiche che, a volte, danno la percezione che il rispetto dei diritti civili, dei medici e dei pazienti, dipendano dalla residenza geografica o dalla Procura di riferimento. Ciò anche se con Decreto Ministero della Salute 16 novembre 2007   vennero chiariti alcuni aspetti dell’applicazione della legge, senza, peraltro, porre completamente fine ad una serie di “interpretazioni” a nostro giudizio non corrette.  Di seguito riportiamo alcune osservazioni relative ai più frequenti problemi che tuttora si permangono rispetto alla terapia sostitutiva.

Prescrivibilità di terapie sostitutive per le dipendenze da oppiacei da parte di medici non operanti nei servizi specialistici per le tossicodipendenze

Come si è visto l’articolo 43, comma 5, nella sua attuale versione, prevede la possibilità di prescrizione di terapie sostitutive da parte di qualsiasi medico ma solo “nel rispetto del piano terapeutico predisposto da una struttura sanitaria pubblica o da una struttura privata autorizzata ai sensi dell’articolo 116 e specificamente per l’attivita’ di diagnosi di cui al comma 2, lettera d) del medesimo articolo.”  Da ciò si dedurrebbe che solo i Ser.T. ed i servizi privati autorizzati con le stesse caratteristiche possano decidere tali terapie e che altri medici possano collaborare solo in posizione sussidiaria. L’articolo 120, comma 4, tuttavia, sembra configurare in maniera diversa tale collaborazione nel momento in cui dispone che “gli esercenti la professione medica che assistono persone dedite all’uso di sostanze stupefacenti e di sostanze psicotrope possono, in ogni tempo, avvalersi dell’ausilio del servizio pubblico per le tossicodipendenze e delle strutture private autorizzate ai sensi dell’articolo 116“. La collaborazione del servizio specialistico pare così configurasi più come un diritto del medico che come una limitazione alla sua libertà terapeutica. Ciò, naturalmente, non può significare che il medico del Ser.T. sia obbligato a redarre piani terapeutici se non condivide l’indicazione clinica alla terapia. Ciò infatti confliggerebbe con l’articolo 4 del Codice di Deontologia Medica 2014 (CDM) che impone ad ogni medico di esercitare la professione in “libertà, indipendenza autonomia e responsabilità”. La legge impone, invece, di prestare ai colleghi che intendano trattare pazienti tossicodipendenti ogni possibile aiuto, compreso quello necessario per gestire le terapie farmacologiche non ritenute controindicate. Tale interpretazione è confermata dalla Nota Ministero della Salute, 19/04/2006 prot. DGFDM/VIII/P/C.1.a.c/14480 che prevede esplicitamente la prescrizione di buprenorfina fino a 30 giorni da parte dei medici con piano terapeutico del Ser.T. e dall’art. 2 comma 3 del citato Decreto Min. Salute 16-11-2007 che dispone che “resta invariata la procedura di prescrizione da parte del medico di medicina generale sulla scorta del piano terapeutico redatto dal servizio di cura, e la dispensazione dei medicinali sostitutivi da parte delle farmacie”. Non riteniamo pertanto giustificata la pretesa di alcuni servizi di subordinare la consulenza farmacologica ad altri medici all’accettazione da parte del paziente di interventi d’altro tipo da lui non richiesti, relegando il medico di fiducia ad un ruolo puramente esecutivo, salvo che, naturalmente, si tratti di accertamenti necessari per valutare complessivamente l’opportunità della terapia: si pensi al caso di pazienti con sospetta depressione che potrebbero utilizzare il farmaco a scopo autolesivo, se non adeguatamente seguiti da specialisti.  Con l’entrata in vigore della nuova versione della legge qualcuno ha posto anche il problema della possibilità per strutture pubbliche diverse dai SERT (per esempio i servizi psichiatrici, i distretti sanitari, le strutture universitarie sede di scuole di perfezionamento in medicina delle farmaco- tossicodipendenze) di predisporre il piano terapeutico. Si è rilevato che il citato Decreto Min. Salute 16-11-2007, in effetti, si riferisce continuamente e unicamente al “servizio di cura” senza specificare che debba trattarsi di un SERT o di uno SMI.  L’articolo 43 del TU 309/1990, tuttavia, si riferisce chiaramente alle strutture pubbliche o private “di cui all’art. 116” che, come si evince dai successivi articoli 117, 118 e 119, sono quelle destinate specificamente all’assistenza ai tossicodipendenti.  Riteniamo, però, che con l’introduzione del concetto di accreditamento (art 117) nulla vieti che Università, associazioni di professionisti o altri soggetti, che dimostrino di avere i requisiti richiesti, possano richiedere il necessario riconoscimento come SMI, sempre che le regioni abbiano provveduto ai passi necessari.

 Rapporto tra normativa regionale e leggi dello stato

 Ci risulta che alcune regioni (come la Toscana e l’Umbria) abbiano assunto provvedimenti che escluderebbero di fatto la possibilità di accreditamento, prevista dall’art 116 del TU 309/1990, per Servizi Specialistici Multidisciplinari non pubblici. Riteniamo che provvedimenti di questo tipo, incidendo su diritti degli utenti e degli erogatori di servizi, garantiti da una legge nazionale, potrebbero essere considerati sotto il profilo della violazione costituzionale. Il Titolo V della Parte Seconda della Costituzione stabilisce infatti quali siano le competenze dei vari organi dell’Amministrazione dello Stato. In particolare:

  • l’articolo 70 attribuisce alle Camere la funzione legislativa;
  • l’articolo 114 stabilisce che le regioni sono costituite in enti autonomi con propri poteri e funzioni secondo i principi fissati dalla Costituzione;
  • l’articolo 116 prevede l’adozione di statuti speciali con leggi costituzionali per le cosiddette regioni autonome e che, altre forme di autonomia, limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, alle norme generali sull’istruzione e alla tutela dell’ambiente e dei beni culturali, possono essere attribuite con legge dello Stato ad altre Regioni;
  • l’articolo 117 stabilisce, con le tre  possibili eccezioni sopra citate, le materie in cui lo Stato ha legislazione esclusiva.

Tra queste rientrano la determinazione dei livelli essenziali di prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale.  Lo stesso articolo prevede che, nelle materie di legislazione concorrente, tra cui “professioni” e “tutela della salute”, la potestà legislativa spetti alle Regioni, “salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato“.  L’articolo 126 sottopone le Regioni al disposto Costituzionale e alla legislazione nazionale stabilendo che gli atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge possono comportare lo scioglimento del consiglio regionale. Da tutto ciò si evince che, salvo il caso di una legge–delega, i provvedimenti regionali possono espletarsi solo negli ambiti non riservati allo Stato o, in caso di legislazione concorrente, solo nel rispetto dei principi fondamentali stabiliti con legge dello Stato. Non rientra pertanto, a nostro giudizio, nei poteri delle Regioni cambiare o vanificare i principi costituzionali o le leggi dello Stato. Lo svolgimento di attività professionali in favore di soggetti tossicodipendenti, tra l’altro, rientra, anche, nella fattispecie dell’iniziativa economica privata. L’art. 41 della Costituzione stabilisce che “l’iniziativa economica privata è libera” e che “la legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali”.  Anche la regolazione di questa attività, in quanto diritto costituzionalmente tutelato, dovrebbe quindi essere riservata allao Stato almeno per la determinazione dei principi fondamentali, necessariamente validi su tutto il territorio nazionale. Peraltro, il fatto che la prescrizione di terapie sostitutive sia riservata ai servizi specialistici ha riflessi anche sull’esercizio della professione medica e, anche sotto questo profilo, non può, a nostro avviso, essere sottratta alla competenza della legge nazionale (vedi, per analogia, e a mero titolo di esempio, la  sentenza Corte Costituzionale 19-26 2002 n.282, pres. Ruperto, red. Onida, che annullò la legge 13 novembre 2001 della Regione Marche). A questo proposito, altre regioni, come la Lombardia, hanno formalmente chiarito il problema con posizioni completamente in linea con il dettato legislativo (nota regione Lombardia del 29 3-2006 prot GI.2006.0004496). 

 Affidamento del farmaco a persona diversa dal paziente

Fino all’entrata in vigore della legge 49/2006, alcune regioni, alcuni membri dei N.A.S., e anche lo stesso Ministero della Salute (vedi nota all’Ordine dei Medici di Roma del 1-8-2003), avevano ritenuto vincolante il disposto della citata circolare 20/94 che imponeva a persone maggiorenni e non interdette, con diagnosi di dipendenza da oppiacei in terapia farmacologica sostitutiva ai sensi dell’articolo 43 del T.U.  309/90, di presentarsi al servizio accompagnate da un famigliare. Costui avrebbe dovuto prendersi la responsabilità della conservazione e somministrazione dello stupefacente, con ciò assumendo le stesse funzioni di un farmacista e di un infermiere.  Tale posizione, già allora discutibile sotto diversi aspetti, ivi compresa la normativa sulle riservatezza dei dati personali sensibili, è completamente superata dalla attuale versione dell’articolo 43 che, come si è detto, recita testualmente (comma 5)La persona alla quale sono consegnati in affidamento i medicinali di cui al presente comma e’ tenuta ad esibire a richiesta la prescrizione medica o il piano terapeutico in suo possesso”.   Da ciò si evince che chiunque sia considerabile una “persona”, e non rientri in condizioni che altre disposizioni di pari rango considerano incompatibili con la consegna di farmaci, può ritirare la terapia, come peraltro confermato dalla citata nota del Ministero della Salute – 19/04/2006 e dall’ art. 1, comma 4 del Decreto Min. Salute 16-11-2007.  Il farmaco deve quindi essere consegnato o all’interessato o anche, sempre che non sussista la necessità di diretti controlli clinici, ad una persona da lui stesso delegata per iscritto nel rispetto delle disposizioni dell’art. 34 del CDM sull’informazione a terzi, confermate dall’art. 1 comma 5 del citato D.M.. Anche se il decreto non lo impone esplicitamente, riteniamo che, in analogia a quanto disposto dalla citata nota ministeriale e a quanto avviene nelle farmacie, la persona delegata dovrà essere identificata con l’annotazione in cartella degli estremi di un documento di identità. Il comma 5 del D.M 16-11-2007, peraltro, prevede che l’impedimento per cui il paziente non accede al servizio “debba essere dimostrato da opportuna certificazione scritta ai sensi delle norme di legge vigenti”. Nella seconda parte di questa nota, riguardante le procedure, esponiamo i problemi che questa dicitura può sollevare. In ogni caso si conferma che la consegna a terze persone deve essere una libera scelta del paziente (sempre nei limiti delle necessità di controllo clinico) e non, come ci risulta che ancora a volte avvenga, una imposizione del servizio che pretende illegittimamente la presenza di un famigliare per consegnare il trattamento domiciliare a persone maggiorenni. Nel nostro paese, infatti, un cittadino che abbia raggiunto la maggiore età può essere privato dei diritti riconosciuti ad ogni adulto solo per disposizione di legge. La legge, come già si è visto, vieta la consegna di sostanze stupefacenti solo a minori di età o a persone “manifestamente inferme di mente(art 44 T.U. 309/1990) non facendo alcun accenno (e certamente non a caso trattandosi di legge sulle droghe) allo stato di tossicodipendenza.  La pretesa di imporre a una persona con piena capacità giuridica limitazioni non previste da nessuna legge dello stato (tanto da non essere applicate a pochi chilometri di distanza) risulta, a nostro giudizio, ingiustificata. E tale posizione è stata implicitamente confermata dalla apertura di un procedimento da parte del Garante per la privacy nei confronti della Provincia Autonoma di Trento (Nota Garante per la Protezione dei dati Personali alla Provincia Autonoma di Trento del 27-1-2000 prot. n. 796) poi estintosi in seguito alla revisione della norma contestata.  In particolare si sarebbe in quel caso verificato che un paziente maggiorenne, per decisione di operatori sanitari o di organi amministrativi:

  • non potesse disporre di un farmaco a lui prescritto;
  • fosse indotto a rilasciare il proprio consenso all’informazione ai famigliari in condizioni di evidente coartazione della propria libertà, (con ciò violando gli articoli 7, 8, 10, 83, 84, del D. Lgs. 196/2003Codice in materia di protezione dei dati personali” che, al di fuori dei casi espressamente previsti dalla legge, tra cui non ci sono arbitrarie variazioni delle modalità di prescrizione degli stupefacenti ex 309/1990, impongono l’acquisizione del consenso liberamente espresso dall’interessato per ogni comunicazione di dati sensibili a terzi);
  • fosse discriminato se non aveva famigliari ritenuti “affidabili”;
  • venisse messo in condizioni di sudditanza nei confronti dei propri congiunti dalla cui disponibilità sarebbe dipesa la possibilità di una certa modalità terapeutica .

Tale prassi, inoltre, sembrerebbe presupporre che si affidi la custodia di stupefacenti e il controllo di una terapia, non al destinatario della prescrizione ma a persone non qualificate per svolgere tali funzioni, sulle quali il prescrittore non ha alcun diritto di effettuare indagini e che, per quanto (non) si è autorizzati a sapere, potrebbero essere a loro volta tossicodipendenti, alcolisti o malati mentali, spacciatori, pregiudicati, o comunque non idonei a gestire la terapia di altri.  E, infatti, la legislazione non prevede la possibilità di prescrizioni a persone diverse dal destinatario della terapia.  Il ritiro in farmacia di ricette ad altri destinate si configura, per esempio, come un mandato del paziente, unico proprietario dei propri dati sensibili, e non certo del medico che non deve indicare sulle ricette altre generalità che quelle dell’interessato. Osserviamo inoltre che

  • l‘articolo 64 del citato T.U., rimandando all’articolo 120, consente all’interessato, su semplice richiesta, il trattamento in anonimato, cioè senza identificazione nominativa, diritto che sarebbe inapplicabile nel caso si prevedesse la collaborazione “obbligatoria” di parenti che, invece, come si è visto, devono essere identificati;
  •  l’articolo 122 stabilisce, al comma 2,  il dovere di formulare il programma nel rispetto della dignità della persona tenendo conto “in ogni caso delle esigenze di lavoro e di studio e delle condizioni di vita famigliari e sociali dell’assuntore” con ciò escludendo indebite “infantilizzazioni” del cittadino;
  •  l’articolo 2 del Codice Civile dispone che con la maggiore età si acquisisca la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia prevista un’età diversa.

Rileviamo anche che gli articoli 414 e 415 del Codice Civile sembrano nettamente distinguere l’infermità mentale dalla condizione di tossicodipendenza.  Prevedono, infatti, che per “abituale infermità di mente” possa essere disposta l’interdizione mentre nei confronti di persone prodighe o che abusano di droghe o alcol è ipotizzabile solo l’inabilitazione ma unicamente per tutelare gli interessi economici della persona o della famiglia (e quindi senza alcun riflesso sui diritti del cittadino-paziente).  Tutto ciò considerato, ci pare di poter affermare che la responsabilità di eventuali danni al paziente o ad altri, derivanti da un affidamento imposto dal medico, e non per libera delega dell’interessato, della custodia e del controllo di una terapia con stupefacenti, a terze persone che non hanno in ciò né una responsabilità professionale (come un farmacista o un infermiere) né una responsabilità legale (come l’esercente la tutela o la patria potestà) ricade unicamente su chi ha il potere di prescrivere cioè sul medico.  Tale comportamento inoltre risulterebbe difficilmente compatibile con lo spirito e la lettera degli articoli 10,11,20,34 del CDM, concernenti il segreto professionale, la riservatezza dei dati personali, la relazione di cura, l’informazione e comunicazione a terzi, che non prevedono alcuna eccezione dovuta alla diagnosi di tossicodipendenza.  Ciò non toglie che, in casi selezionati, nell’ambito di un programma comportamentale che preveda il coinvolgimento “terapeutico”, e non poliziesco, della famiglia, si possa e si debba concordare (ma non certo imporre) l’assunzione supervisionata di questi come di altri farmaci. Il titolare della prescrizione e dell’affidamento, però, non può essere, anche in questa fattispecie, altri che l’interessato.

Affidamento del farmaco a persona in struttura residenziale 

Una riflessione del tutto analoga, confermata dall’art.2 comma 6 del DM 16-11-2007, può essere fatta per i pazienti che assumono il farmaco in strutture residenziali come le Comunità Terapeutiche per tossicodipendenti.  La consegna diretta dello stupefacente dal medico del SER.T. alla comunità in quanto tale, infatti, comporterebbe, vista la logica della legge rispetto alla necessità di documentare ogni movimentazione fino alla consegna o somministrazione al destinatario della prescrizione, la presenza di registro di carico e scarico presso la struttura e, quindi, la presenza di un direttore sanitario con la facoltà di gestirlo.  Ma, in questo caso, l’acquisto del farmaco dovrebbe essere fatto direttamente in farmacia o dalla ditta produttrice e la prescrizione dovrebbe provenire da un medico interno alla comunità, sebben su programma terapeutico del SERT/SMI.  Quanto alla somministrazione, la giurisprudenza prevalente ritiene che, a livello professionale, possa essere fatta solo da personale infermieristico. Si veda, a questo proposito, la sentenza TAR Toscana II sezione, 11 giugno 1998, n. 552 con cui venne annullato l’ordine di servizio di una ASL che imponeva a educatori, operatori tecnico-assistenziali e fisioterapisti di una comunità per handicappati la somministrazione di farmaci prescritti dal medico di base. Nel caso, più frequente, in cui la comunità non disponga di personale medico o infermieristico interno in grado di attivare le necessarie procedure per l’approvvigionamento (peraltro in nessun modo previste nella specifica normativa) la consegna dovrà, invece, essere correttamente fatta all’interessato, anche se, in genere, alla presenza di operatori della comunità. La comunità, infatti, può e deve definire liberamente, inserendo tali limiti nel proprio regolamento, luoghi, tempi e persone deputate ad assistere, non dal punto vista sanitario ma dal punto di vista logistico, chi necessita di terapie farmacologiche.  Ciò avviene, del resto, anche per altri bisogni primari, come i pasti, l’attività fisica o le ore di riposo notturno, senza violare alcun diritto purchè queste procedure siano note all’interessato nel momento in cui chiede di entrare nel programma.  Per fare ciò in tutta sicurezza si richiede solo che la struttura disponga di un armadio chiuso a chiave dove conservare il medicinale che sarà posto, insieme alla prescrizione o al certificato di trattamento, in busta o contenitore chiuso, su cui andrà apposta la scritta “di proprietà del signor (nome e cognome del paziente)“.  Si potrà inoltre decidere che l’accesso all’infermeria avvenga solo in ore prestabilite e che all’assunzione assista un operatore. Nel caso il paziente lasciasse la comunità il farmaco gli verrà, di regola, consegnato e il soggetto dovrà essere invitato a rivolgersi al più presto al medico prescrittore per le decisioni del caso. Naturalmente, qualora le condizioni psichiche dell’interessato fossero tali da far dubitare agli operatori situazioni di grave rischio sarà possibile, in virtù dell’articolo 54 del  Codice Penale  (CP) concernente lo stato di necessità, trattenere il farmaco senza tema di essere accusati di furto, sino a valutazione medica delle condizioni dell’interessato, indicandogli la necessità di rivolgersi al più presto al medico o al servizio prescrittore. Qualora, per un qualsiasi motivo, il paziente lasciasse il farmaco in comunità dovrebbe essere applicato il disposto della Nota Ministero della Salute del 26-10-2007 prot DGFDM/VIII/P/C.1.a.c./35622 con oggetto “Smaltimento farmaci stupefacenti residuati a domicilio del paziente per interruzione del trattamento o decesso”.  La comunità, infatti, si configura a tutti gli effetti come domicilio, sebbene temporaneo dei suoi ospiti.  Nel documento citato si chiarisce che “i cittadini che si ritrovano ad essere occasionalmente detentori di farmaci prescritti a singoli pazienti che hanno cessato la terapia” (omissis) “possono conferire i residui di farmaci stupefacenti a seguito di interruzione di terapia negli appositi contenitori presenti nelle farmacie senza obblighi di presa in carico o scarico da parte del farmacista”. Questi farmaci possono quindi essere smaltiti presso qualsiasi farmacia senza particolari procedure.  Il ministero suggerisce però di renderli inutilizzabili o, almeno, irriconoscibili rimuovendo l’etichetta. A partire dal gennaio 2008, in base al disposto dell’art 2 commi 350, 351 e 352 della cosiddetta finanziaria 2008 (legge 24-12-2007, n. 244), qualora le confezioni risultino integre e ben conservate e non siano reclamate dal paziente, possono essere restituite all’ASL per il riutilizzo. Riteniamo che, in questo caso l’operatore della comunità e il medico dell’ASL dovrebbero redarre un verbale di consegna in due copie citando il suddetto comma della legge. Tale documento dovrà essere citato nel registro di carico a cui dovrà essere allegato per la riutilizzazione.  Per inciso, sottolineiamo che la prassi, purtroppo ancora in qualche caso attuata, di inviare pazienti in comunità con terapie mediche prescritte dal SERT o dal CPS di provenienza e di affidarne la gestione, non ad altro medico specialista, ma agli operatori della comunità telefonicamente telecomandati, accampando una inesistente “competenza territoriale” è, a nostro giudizio gravemente illecita.  Le terapie mediche e, in particolare, quelle farmacologiche, devono, infatti, sia per motivi deontologici che per motivi legali, essere prescritte solo e unicamente dal medico che ha l’effettivo controllo clinico del paziente, che è, indiscutibilmente, il medico che ha la possibilità di aggiornare l’anamnesi ed effettuare l’esame obbiettivo.  La prescrizione a distanza, oltre ad essere pericolosa, configura, sempre a nostro giudizio, una violazione dei doveri deontologici (cfr art. 13 CDM).  Il medico, infatti, deve prescrivere farmaci solo in seguito a diretto controllo del quadro clinico, le cui variazioni dovrebbero, peraltro, essere puntualmente registrate o su una cartella clinica o su una scheda sanitaria a lui solo accessibile o su fogli di consulenza debitamente intestati e firmati.  Si confronti a questo proposito la sentenza 4 aprile 2007, Tribunale di Bologna, Sezione III Penale, che conferma la condanna per omicidio nei confronti di uno psichiatra che aveva ridotto la terapia antipsicotica, senza gli opportuni controlli clinici e senza l’accurata revisione dell’anamnesi, ad un paziente che uccise un educatore.  Perciò, qualora una comunità terapeutica si trovasse a fronteggiare problemi di questo genere, sarebbe consigliabile chiarire preliminarmente ai servizi invianti che i pazienti in terapia farmacologica possono essere accettati solo dopo l’attestazione dell’avvenuto trasferimento del caso, per gli aspetti medici, ad una analoga struttura specialistica idonea operante nel territorio a cui è situata la comunità. Da questo punto di vista aggiungiamo che il servizio ricevente il trasferimento di persona che verrà seguita presso quella struttura per settimane, mesi od anni dovrebbe, a nostro giudizio, prendere in carico il caso aprendo ed aggiornando una cartella clinica. Non è infatti concepibile, né nell’area delle dipendenze né in nessun altro tipo di problema medico, che non siano chiare le responsabilità cliniche sull’intera gestione terapeutica, come inevitabilmente avverrebbe quando si attuasse una inedita terapia “congiunta”, con uno dei due medici materialmente impossibilitato  a visitare il paziente, che invia le sue “prescrizioni” per telefono o “via fax”

Pazienti incarcerati

Si è purtroppo verificato che pazienti incarcerati nel corso di una terapia sostitutiva siano stati trattati unicamente sulla base di decisioni prese dal Ser.T. a cui erano in carico prima dell’inizio della detenzione.  A questo proposito valgono le stesse considerazioni esposte per la gestione delle terapie in strutture residenziali: per nessun motivo una terapia può essere condotta da un medico che non è materialmente in grado di valutare direttamente il paziente.  Ovviamente, il medico del carcere è tenuto, nei limiti del possibile, ad acquisire tutti i dati clinici dal precedente curante ma tali dati devono tassativamente essere confrontati con le risultanze della visita medica da lui personalmente effettuata, dato che solo lui risponderà del trattamento. Ricordiamo, per inciso, che, sfortunatamente, vige ancora in alcuni servizi la prassi di affidare i farmaci, non in base alle esigenze di lavoro o di studio dei pazienti o a significativi problemi clinici, ma in base agli esiti degli esami tossicologici che, come dovrebbe essere noto, non sono in grado di discriminare chi, per esempio, assume eroina ogni 3 ore da chi la assume una volta alla settimana. Per di più, i dosaggi vengono a volte definiti in base ad astratti protocolli che prescindono dalla condivisione dell’interessato. Ciò comporta, in qualche caso, che da un lato persone con urine positive e con difficoltà ad accedere giornalmente ai servizi siano disposte a rivolgersi al mercato grigio e, dall’altro, che persone con urine negative a cui vengono affidati dosaggi da loro ritenuti non necessari siano disponibili ad autoridurseli, cedendoli ad altri.  Per tali motivi all’ingresso in carcere è possibile che il dosaggio riferito dal Ser.T. non corrisponda, in eccesso o in difetto, a quello effettivamente assunto né al livello di dipendenza e tolleranza del paziente. In ogni caso, date le caratteristiche farmacocinetiche di metadone e buprenorfina, il quadro clinico potrebbe cambiare in base ad un gran numero di fattori che solo il medico effettivamente presente può valutare.  Analoghe considerazioni vanno fatte rispetto alla necessità o meno di iniziare un trattamento sostituivo ex novo in carcere.  Ricordiamo, a questo proposito, che, tra i farmaci spesso prescritti per trattare la eventuale sindrome d’astinenza, le benzodiazepine sono generalmente controindicate perché all’origine di tossicodipendenze iatrogene e la clonidina non ha tale indicazione sulla scheda tecnica e può quindi essere legittimamente prescritta solo nel caso che altre terapie siano controindicate, con l’acquisizione del consenso informato del paziente e con spesa a carico dell’interessato (legge 94/1998 art. 3, comma 2) . Il mancato rispetto di queste regole, particolarmente per quanto riguarda il consenso scritto, potrebbe contribuire a costituire il reato in caso di danno da effetto collaterale o reazione avversa (sentenza Cassazione Penale, Sezione IV, n.30057 del 12-9-2006). La terapia d’elezione rimane quindi la disassuefazione con metadone o buprenorfina e ogni paziente che presenti l’indicazione clinica (sindrome d’astinenza in atto o prevedibile in base all’anamnesi) ha diritto ad ottenerla.

Affidamento farmaci a pazienti ospedalizzati 

Un problema apparentemente simile si è a volte presentato con pazienti ricoverati in ospedale. A questo proposito si ricorda che, come decine di sentenze hanno confermato, responsabile della cartella clinica, e quindi anche dell’intera gestione del caso, è il primario (ora direttore di struttura complessa) del reparto in cui il paziente si trova. Tutti gli altri medici non da lui direttamente dipendenti intervengono in veste di consulenti.  Pertanto la responsabilità dell’intera terapia farmacologica è della struttura in cui il cittadino effettivamente si trova ricoverato.  Poiché, a volte, se il reparto non fa capo alla stessa farmacia che fornisce il SERT, avviene che non disponga immediatamente dei farmaci sostitutivi assunti dal paziente può essere inevitabile che, in un primo tempo, il SERT stesso continui a fornirli all’interessato.  Anche in questo caso, tuttavia, benché il farmaco possa e debba essere custodito nell’armadio farmaceutico del reparto con le modalità sopra descritte, il SERT consegnerà formalmente al paziente, e non al reparto, la terapia chiarendo però che dovrà essere custodita e assunta secondo le indicazioni dei medici del reparto stesso. Ciò perché non è previsto il passaggio di stupefacenti da una azienda sanitaria all’altra e, anche nel caso eccezionale che ciò avvenisse, il trasferimento dovrebbe essere registrato secondo le indicazioni del TU 309/1990, cioè tramite registro di carico e scarico.  La consegna a paziente ospedalizzato, il motivo per cui il trattamento non può essere interrotto ed il motivo per cui il reparto non è in grado di provvedere immediatamente alla erogazione del farmaco dovranno essere annotati sia sulla cartella del SERT che fornisce la terapia e funge da consulente per il suo utilizzo sia sulla cartella del reparto dove la prescrizione dovrà essere confermata dal medico responsabile.

Affidamento di farmaci per terapia sostitutiva a persone con morfinurie costantemente positive o “non affidabili”

 La soppressa circolare del Ministero della Sanità 20/94, varie circolari regionali, un gran numero di leggi in un gran numero di paesi europei e, per finire, molti documenti di medici con titoli accademici in ogni parte del mondo, sostengono o hanno sostenuto che la terapia sostitutiva sia legittima ed abbia valenza terapeutica solo se il paziente si astiene da ogni altra droga e, in particolare, da ogni oppiaceo illegale. Gli stessi documenti affermano, in genere, che la “affidabilità” del paziente, sia strettamente correlata alla durata dell’astinenza da droghe illegali. Alcuni farmaci, come il LAAM, che dal punto di vista farmacologico non presentano alcun vantaggio sul metadone e presentano invece dei rischi in più (tanto da non essere stati approvati in Europa), sono stati introdotti in alcuni paesi principalmente perché, dati gli ostacoli all’affidamento, rappresentavano l’unico modo di ridurre gli accessi obbligati del paziente con “urine sporche” al servizio.  Lo stesso metadone che, per la sua farmacocinetica, in alcuni casi, dovrebbe essere assunto in due o tre dosi giornaliere, viene quasi sempre somministrato in dose unica per evitare l’affidamento.  A questo proposito si osserva quanto segue.  Dal punto di vista legale, i già più volte citati articoli 43 e 44 T.U. 309/1990 prevedono unicamente che la prescrizione non possa superare i 30 giorni di terapia e che il farmaco non possa essere consegnato a persona minore o manifestamente inferma di mente. Dal punto di vista scientifico, non esiste, a nostra conoscenza, nessuno studio che correli la correttezza dell’assunzione di metadone da parte del paziente alla durata dell’astensione da droghe illegali, anche perché una tale ricerca comporterebbe ovvie, e probabilmente insuperabili, difficoltà tecniche. Per tali motivi l’unico limite alla durata dell’affidamento dovrebbe essere la necessità di controlli clinici da parte del medico.  Tali controlli non dovrebbero dipendere tanto dall’esito di esami tossicologici (che, in genere, non sono in grado di per sé di distinguere una persona in coma per overdose da una persona che ha utilizzato codeina per la tosse) quanto da eventuali problemi clinici (per esempio presenza di insufficienza epatica o renale, febbre in atto, entità degli effetti collaterali, possibili reazioni avverse, segni di sovradosaggio, come rallentamento psico-motorio, o di sottodosaggio, come midriasi, poliassunzione di farmaci non prescritti, ecc)  e/o farmacocinetici (accelerazione del metabolismo per fattori genetici, per acidificazione o alcalinizzazione delle urine, per interferenze farmacologiche o dietetiche, ecc).  Da questo punto di vista, rifiutare, per questo solo fatto, l’affidamento a persone con esami tossicologici positivi sarebbe del tutto ingiustificato e, nel caso ciò rappresentasse un disagio per l’interessato, contrasterebbe con l’obbligo da parte del SERT di definire i programmi “tenendo conto, in ogni caso, delle esigenze di lavoro e di studio e delle condizioni di vita famigliare e sociale dell’assuntore” (art 122 TU 309/1990).  Il metadone (e ancor di più la buprenorfina), tuttavia, non sono farmaci “normali”.  Hanno infatti uno sproporzionato valore sul mercato illegale e, quindi, a differenza della sempre citata insulina, possono rappresentare una fonte di reddito se venduto ad altri.  Il medico non è tenuto a svolgere indagini poliziesche sul paziente ma, certamente, è tenuto a vigilare, per quanto gli compete, su eventuali strumentalizzazioni del proprio operato. Pertanto, più che preoccuparsi dell’esito positivo degli esami tossicologici, è consigliabile non sottovalutare segnali, comportamenti o informazioni che potrebbero suggerire la diversione quali, per esempio il mancato ritiro del farmaco nella giornata prevista, lo stazionamento nei paraggi del servizio in attesa di altri pazienti o di altre persone non in trattamento farmacologico, l’insistenza non spiegata a mantenere dosaggi elevati dopo molti anni di astensione da eroina.  Infatti, come già detto, sembra ragionevole pensare che abbia più probabilità di cedere ad altri il proprio metadone chi non assume più eroina che non chi la sta ancora assumendo.  A parte ciò, osserviamo che se l’obbiettivo della terapia sostitutiva è, di regola, l’astensione da eroina, nel caso non venga raggiunto il provvedimento logico è la revisione della terapia, non il passaggio a modalità che la rendono più difficile, come il rifiuto dell’affidamento.  Ci risulta infatti da molte testimonianze che proprio questo inspiegabile rifiuto, motivato magari con una singola positività, è uno dei principali motivi per cui molti pazienti si rivolgono al mercato illegale.  Aggiungiamo che anche la riduzione cospicua dell’assunzione di eroina, che non può essere provata con esami tossicologici costantemente negativi, può essere un obbiettivo della terapia se  comporta un miglioramento delle condizioni fisiche, psichiche e sociali del paziente. Per un eroinomane scompensato che non possa o non voglia rinunciare all’eroina, per esempio, il trattamento di mantenimento con dosi medio-basse di metadone a scopo di riduzione del danno può essere l’unica possibilità di ridurre il rischio di decesso per overdose, in quanto evita eccessive variazioni della tolleranza.  Per quanto riguarda il rischio di tossicomania iatrogena da metadone, come problema clinico autonomo, siamo a conoscenza, finora, solo di segnalazioni anedottiche.  A riprova di ciò, questa sostanza non è presente sul vero e proprio mercato nero, non viene “trattata” dalle organizzazioni criminali ma, per quanto si può sapere, viene invece ceduta illecitamente a persone dipendenti da eroina che incontrano difficoltà a rivolgersi ai servizi anche per la cosiddetta “lotteria delle urine”. Diverso il caso della buprenorfina che, anche nella formulazione Suboxone, ha dato origine a numerose segnalazioni di tossicodipendenze iatrogene che però non si vede come potrebbero essere prevenute dal mancato affidamento. Non sembra, quindi, che escludere l’affidamento a persone con esami tossicologici positivi aiuti a ridurre lo spaccio di metadone o buprenorfina ma, anzi, pare che, insieme alla mancanza di privacy nei servizi, ne sia uno degli involontari presupposti.  Giova inoltre ricordare l’articolo 3 del CDM che stabilisce: “doveri del medico sono la tutela della vita, della salute psico-fisica, il trattamento del dolore e il sollievo della sofferenza nel rispetto della libertà e della dignità della persona, senza discriminazione alcuna, quali che siano le condizioni istituzionali o sociali nelle quali opera.”.  Ciò non sembra accordarsi con la imposizione arbitraria di condizioni inutilmente difficoltose per accedere ad una terapia.  Tutto ciò considerato, sembra corretto procedere alla prescrizione di metadone e all’affidamento del medesimo a persone con morfinurie positive o che fanno uso di altre sostanze ogni volta che

  1. il medico ha sufficiente esperienza e competenza per valutare, criticamente e in maniera indipendente la letteratura e le linee guida sopra citate;
  2. le condizioni cliniche del paziente non richiedono controlli ravvicinati;
  3. non sussistono evidenti motivi per sospettare un uso scorretto del farmaco;
  4. vengono esplicitati in cartella clinica gli obbiettivi terapeutici e le ragioni per cui si stabilisce quel regime di affidamento o prescrizione oppure
  5. nel Servizio è stato motivatamente adottato un protocollo, da citare in cartella, che prevede perché l’affidamento dovrebbe essere fatto indipendentemente dagli esiti degli esami tossicologici.  Anche in quest’ultimo caso la responsabilità dell’affido rimane al medico prescrittore che, pertanto, può sempre decidere diversamente purchè giustifichi in cartella la propria scelta.

Responsabilità del medico per l’uso che il paziente fa del farmaco 

Si è a volte verificato che il medico sia stato incriminato per aver prescritto o consegnato metadone a pazienti che hanno utilizzato il farmaco in maniera scorretta commettendo reati o suicidandosi.  Ricordiamo il caso di un paziente che investì mortalmente due persone uscendo dal SERT e sostenne che ciò era dovuto al metadone che gli era stato somministrato.  O i numerosi casi di bambini intossicati dal metadone mal custodito dai genitori.  O i casi di omicidio-suicidio commessi utilizzando il farmaco.  Ci sentiamo in grado di affermare che forse questi procedimenti non sarebbero nemmeno iniziati se la cartella clinica fosse stata compilata con la doverosa diligenza.  Per prescrivere correttamente una qualsiasi terapia il medico dovrebbe infatti:

  1. formulare la diagnosi sulla base, per lo meno, di una anamnesi, di un esame obbiettivo e, nel caso intenda iniziare una terapia sostitutiva, di esame tossicologico positivo per composti morfinici oppure della rilevazione di segni oggettivi indicatori di sindrome d’astinenza da oppiacei oppure di riscontro documentale di assunzione cronica di oppiacei;
  2. definire gli obiettivi della terapia e scegliere il farmaco dopo aver valutato rischi e benefici;
  3. discuterli con il paziente ed acquisire la sua collaborazione;
  4. informare il paziente delle precauzioni, degli effetti collaterali, delle norme di conservazione in maniera per lui comprensibile;
  5. nel caso di prescrizione di stupefacenti, informare il paziente dei rischi legali di un uso diverso da quello terapeutico;
  6. documentare tutto ciò sulla cartella clinica.

Quando tutto ciò viene fatto è ragionevole pensare che sia più difficile incorrere in incidenti.  Nel caso si verificassero, tuttavia, molto difficilmente verrebbero imputati al medico sempre che non ci sia stata una negligenza o un grave errore diagnostico nel non rilevare, per esempio, gravi patologie psichiatriche che avrebbero potuto risentire positivamente di un intervento adeguato o controindicazioni alla terapia.  In nessun punto infatti la legge attribuisce al medico una particolare “tutela” nei confronti di persone tossicodipendenti, a differenza di quanto avviene con i malati di mente.  Pur sottolineando il dovere della prudenza e dell’attenzione nel rilevare eventuali abusi o rischi extra-terapeutici, riteniamo perciò che il medico non sia responsabile dell’utilizzo di farmaci in maniera difforme dalla sua prescrizione ma solo di effettuare prescrizioni documentando la dovuta diligenza e la completa informazione del paziente.

Trattamenti “sine die” a dose stabile e trattamenti per indicazioni diverse da quelle approvate e riportate sulla scheda tecnica

In molte sentenze di primo grado medici sono stati condannati in base all’articolo 83 del T.U. 309/1990 per non aver previsto la riduzione del dosaggio di metadone sulla base di quanto riportato sulla scheda tecnica oppure per aver trattato pazienti con dipendenza da eroina con farmaci come la morfina non approvati per tale indicazione.  A quanto ci risulta, però, non ci sono state condanne in secondo grado.  In base al dettato dell’art 13 CDM, che sempre più viene utilizzato anche in sede giudiziaria per definire la correttezza del comportamento professionale, la legittimità di un trattamento dipende dal fatto che il medico ne documenti adeguatamente la presumibile utilità per la vita o la salute di quel paziente, anche indipendentemente dalle indicazioni e dai protocolli o linee guida più o meno ufficiali, purchè ciò sia supportato da robusti dati scientifici e clinici.  Questa possibilità è confermata dall’articolo 3, comma 2 della citata legge 8 aprile 1998 n.94 che dispone: “in singoli casi il medico può sotto la sua diretta responsabilità e previa informazione del paziente e acquisizione del consenso informato dello stesso, impiegare un medicinale prodotto industrialmente per un’indicazione o una via di somministrazione o una modalità di somministrazione o di utilizzazione diversa da quella autorizzata, qualora il medico stesso ritenga, in base a dati documentabili, che il paziente non possa essere utilmente trattato con medicinali per i quali sia già approvata quella indicazione o  via di somministrazione o  modalità di somministrazione o di utilizzazione e purchè tale impiego sia noto e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale”. Il Ministero della Salute con sua nota del 12-2-2007 “Impiego di Medicinali nell’ambito del SSN per indicazioni terapeutiche diverse da quelle autorizzate“ ha confermato la vigenza della legge succitata. La finanziaria 2008 (legge 24-12-2007, n.144) richiamò, al comma 348, la legge 94/1998 precisando che devono “essere disponibili almeno dati favorevoli di sperimentazione clinica di fase seconda”. In questi casi, tuttavia, il paziente non ha diritto al rimborso da parte del SSN. Il rimborso è invece previsto ai sensi della legge 23-12-1996 n.648 art.2 comma 4 per medicinali in attesa di autorizzazione in Italia o con indicazioni non comprese nella scheda tecnica purchè inseriti in apposito elenco predisposto, all’epoca, dalla Commissione Unica del Farmaco e ora, in base al comma 349 della citata legge 24-12-2007, n.144, dalla Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA

Prescrizione e affidamento di farmaci stupefacenti per terapia sostitutiva a pazienti trasferiti da altri servizi.

Il medico che presta assistenza ad un paziente occasionalmente trasferito non assume la titolarità del programma terapeutico e non ne è quindi responsabile, trovandosi, per certi aspetti nella stessa condizione del medico di continuità assistenziale che interviene per un paziente in terapia presso altro collega.  Il suo comportamento dovrebbe quindi uniformarsi al dettato dell’art. 59 del CDM.  Ciò comporta l’obbligo di garantire il controllo clinico rispetto all’emergere di segni o sintomi che controindichino l’assunzione del farmaco o che siano indicatori di grave inadeguatezza della terapia (per esempio: comparsa di allucinazioni o di depressione respiratoria).  In questi casi, prese le decisioni non rinviabili, il paziente dovrà essere riferito al medico responsabile della terapia.  Se ciò non è possibile, per esempio per ragioni di distanza geografica, il medico che ha effettivamente la possibilità di verificare le condizioni cliniche del paziente dovrà agire in base alle proprie competenze, fermo restando l’obbligo di informare il collega.  Il Ser.T. non è, infatti, una farmacia dove, tranne casi eclatanti, il farmacista ha il solo compito di eseguire quanto scritto sulla ricetta e di verificarne la corrispondenza formale a leggi e regolamenti, senza che ci sia nemmeno la necessità della presenza dell’interessato.  Al contrario, la somministrazione di farmaci da parte di un personale infermieristico comporta necessariamente una valutazione delle condizioni del paziente, e non solo della prescrizione, in primo luogo da parte dell’infermiere stesso e, ogni volta che quest’ultimo lo ritenga utile, anche da parte del medico sotto la cui responsabilità si sta svolgendo la somministrazione.  Sottolineiamo che ciò non significa che i pazienti debbano sempre essere visti materialmente dal medico.  Alla professione infermieristica, infatti, è ormai riconosciuta sufficiente autonomia anche per attuare variazioni di dosaggio dei farmaci secondo protocolli e condizioni prestabilite per iscritto da un medico (esempio: “in caso di morfinurie positive aumentare il dosaggio di 10 mg”).  E’ tuttavia opportuno che per persone trasferite con programma di affidamento per più giorni il medico inviante, oltre a rilasciare il certificato di trattamento, prenda contatto preliminarmente con i colleghi e, se questi ultimi lo richiedono, munisca il paziente di una relazione clinica in cui sia chiaramente descritto il razionale delle modalità di terapia in atto. Benchè, come si è detto, la titolarità del programma sia del terapeuta inviante la responsabilità della prescrizione (e delle relative conseguenze) è indiscutibilmente di chi la firma ed è quindi necessario che costui condivida la valutazione sull’utilità della terapia in atto. A questo proposito, non ha a nostro giudizio alcuna giustificazione la prassi a volte riscontrata per cui un paziente rimane in carico ad un servizio che frequenta solo ogni tanto e “ritira” regolarmente la terapia presso un altro servizio (spesso a centinaia di Km di distanza). Ciò potrebbe creare gravi problemi in primo luogo all’interessato (di tipo clinico) e in secondo luogo al medico che gestisce un programma a distanza senza poter effettuare i controlli clinici necessari per farlo e a quello che, potendoli effettuare, non lo fa basandosi invece sulle indicazioni del collega. In questi casi il paziente dovrebbe passare in carico al servizio che effettivamente può frequentare. Se rifiuta, entrambi i servizi dovrebbero, a loro volta, procedere alla dimissione, anche indipendentemente l’uno dall’altro. La libera scelta del luogo di cura, infatti, non può comportare il “diritto” ad effettuare la cura al di fuori delle regole a cui si rifà la responsabilità professionale.

Prescrizione e affidamento di farmaci stupefacenti per terapia sostitutiva a pazienti stranieri senza titolo al soggiorno in Italia e/o senza documenti di identità 

 I pazienti stranieri senza titolo a soggiornare in Italia hanno diritto, in base al Decreto Legislativo (D. Lgs) 286/1998 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” ad una serie di prestazioni sanitarie meglio specificate nella circolare Ministero Sanità 24 marzo 2000, n.5. In tale circolare si precisa che “A favore dei suddetti stranieri si applicano, infine, le disposizioni di cui al Testo Unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, emanato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990 n. 309 (…) e successive modificazioni ed integrazioni, ed in particolare:

  • il titolo VIII – capo II, anche in relazione a quanto disposto dal decreto legislativo 22 giugno 1999 n. 230 (Riordino della medicina penitenziaria);
  • il titolo X “Servizi per le tossicodipendenze”;
  • il titolo XI “Interventi preventivi, curativi e riabilitativi”.

Pertanto qualsiasi persona che necessiti delle prestazioni previste dal TU 309/1990, comprese quelle farmacologiche, ha diritto ad ottenerle, se indicate, indipendentemente dal suo stato giuridico. Varie regioni hanno emanato a questo proposito diverse disposizioni. In Lombardia, per esempio, l’accesso alle prestazioni che richiedono l’identificazione (per esempio il soggiorno in comunità terapeutica per cui si richieda il pagamento di una retta) comporta la compilazione di un apposito modulo per stranieri temporaneamente presenti (STP) basato sull’autocertificazione. Altre regioni hanno dato direttive diverse e non sempre in armonia con la legge nazionale. Osserviamo, In ogni caso anche i trattamenti con metadone o altri farmaci sostitutivi potrebbero essere svolti in anonimato.  L’art. 64 del TU 309/90, infatti, fa esplicito rimando all’art. 120 “Terapia volontaria e anonimato” benché, per evidente errore materiale, citi l’abrogato comma 5 e non il comma 4. Il problema si pone nel caso che un paziente non identificabile richieda un trasferimento ad altra sede oppure acceda al servizio provenienza da altro presidio (per esempio dal carcere dove potrebbe essere stato messo in trattamento utilizzando il numero di matricola per evitare scambi di persona). In questi casi, se non è possibile ricorrere alla conoscenza diretta della persona indipendentemente dai dati anagrafici, l’unica possibilità è comportarsi come con un paziente che avesse assunto stupefacenti di origine illegale. Ci si dovrà perciò basare sull’osservazione clinica dei sintomi astinenziali per individuare il dosaggio adeguato. Nel definire il dosaggio di mantenimento sarà poi tassativo tener conto del fatto che persone in questa condizione potrebbero, da un momento all’altro, trasferirsi o essere trasferite altrove senza alcuna possibilità di usufruire della continuità terapeutica. Riteniamo pertanto che sia una grave leggerezza da parte del medico utilizzare dosaggi elevati che esporrebbero il paziente a gravi conseguenze in caso di brusca interruzione.

Richiesta di svolgere funzioni di carattere medico-legale nei confronti dei propri assistiti

L’articolo 62 del CDM vieta al medico curante di svolgere funzioni medico-legali di ufficio o di controparte nei confronti dei propri assistiti.  Per “medico curante” si intende ovviamente, ogni medico che abbia compiti di cura, compreso il medico del Ser.T.. Tale norma del codice si riferisce allo specifico contesto-giudiziario-forense. E’ però ragionevole e giustificato coglierne il riverbero in altri frangenti operativi di carattere medico-legale, consueti per il medico del SERT ma non per questo sempre agevoli. Si pensi ai certificati o alle relazioni concernenti i trattamenti   farmacologici richiesti al paziente da Commissioni Patenti, Tribunali dei Minori, ecc. L’art. 62 in parola induce, per traslato, ad osservare prudenza nel trasmettere ”con filo diretto” dati clinici in possesso del SERT agli enti che hanno diritto di richiederli all’interessato. E ciò anche in presenza della “condicio sine qua non” per la certificazione, ossia l’esplicito consenso del paziente. Raccomandiamo pertanto certificazioni strettamente attinenti a quanto viene richiesto (certificare solo ciò che c’è bisogno di certificare e null’altro), nonché uno stile di esposizione sobrio e misurato. In conclusione, qualsiasi relazione o certificazione può e deve essere rilasciata, e anche direttamente inoltrata ai competenti uffici, previa debita autorizzazione dell’interessato o del suo avvocato difensore. In questi casi suggeriamo di utilizzare però sempre la formula “su richiesta dell’interessato si rilascia/invia la seguente relazione/certificazione…”.

 

 Seconda parte: procedure mediche e infermieristiche

aggiornato con collegamenti ipertestuali al 28 febbraio 2016

a cura di Mariagrazia Fasoli e Alessandra Ramera

 

Sintesi delle procedure per la prescrizione di oppiacei nella legislazione italiana

Il Testo Unico del Decreto  del  Presidente  della  Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, recante: Testo Unico del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, recante: «Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza»  cosi come modificato ultimamente dalla legge 16 maggio 2014 n. 79  detta disposizioni per l’utilizzo legale delle sostanze definite “stupefacenti o psicotrope” in ben 51 articoli, la maggior parte dei quali definiscono le procedure da seguire per la coltivazione, la produzione e la commercializzazione di questi prodotti da parte di operatori economici che nulla hanno a che fare con l’attività clinica. Gli articoli che interessano il personale sanitario sono invece:

  • 13 e 14: definiscono i criteri per la redazione delle tabelle contenenti le sostanze farmacologicamente attive che vengono considerate stupefacenti e che, perciò, rientrano nell’ambito di applicazione del Testo Unico per le norme riguardanti la prescrizione;
  • 38-39: dettano le procedure per l’acquisto delle sostanze e dei farmaci inseriti nelle tabelle;
  • 40: definisce le norme per il confezionamento dei farmaci;
  • 41: nella versione originale, definiva le modalità di consegna ai farmacisti da parte delle ditte ed è stato poi emendato introducendo indicazioni riguardanti il personale sanitario;
  • 42: dispone le procedure per l’acquisto da parte dei medici;
  • 43, 44 e 45 e 83: dispongono le modalità di prescrizione e dispensazione e le pene previste per la prescrizione abusiva;
  • 60, 62, 64 e 67: riguardano la registrazione dei movimenti dei farmaci stupefacenti da parte di medici e farmacisti.

In sintesi, dal complesso delle norme citate, si evincono le procedure di seguito riassunte. La legge suddivide le sostanze stupefacenti o psicotrope in 5 tabelle, contenenti l’elenco di tutte le sostanze e dei preparati indicati nelle convenzioni e negli accordi internazionali. Tali elenchi sono aggiornati periodicamente anche base a nuove acquisizioni scientifiche. Nella tabella 1 sono indicate una serie di sostanze (oppio, foglie di coca, amfetamine, allucinogeni, ecc.) considerate ad alto potere dedittivo, nella tabella 2 è indicata la cannabis, nella 3 i barbiturici (intesi come sostanze), nella 4 le benzodiazepine. La quinta tabella contiene invece i medicinali. E’ suddivisa in 5 sezioni (A-B-C-D-E) in base al potenziale di indurre abuso o tossicomania. Metadone, buprenorfina (Subutex e Suboxone), ma anche flunitrazepam, barbiturici, sono tutti inseriti nella sezione A mentre il GHB (Alcover) è attualmente inserita nella sezione B insieme a varie benzodiazepine, imidazopiridine (zolpidem, zaleplon, zopiclone), a delta 9-THC, nabilone e medicinali vegetali a base di cannabis. Nella sezione C sono indicati i medicinali contenenti alcuni prodotti in composizione per cui la ricetta non è ripetibile. Nelle sezioni D ed E formulazioni, considerate meno rischiose (orali, transdermiche) di diversi farmaci.  Le “persone autorizzate”, ivi compresi i titolari di farmacie aperte al pubblico o ospedaliere, possono acquistare le sostanze e i medicinali comprese nelle tabelle (esclusi i medicinali nelle sezioni D ed E) solo “in base a richiesta scritta con buono-acquisto conforme al modello predisposto dal Ministero della Salute” (art. 38 TU 309/90, comma 1).  I titolari di farmacia possono utilizzare i buoni acquisto anche “per richiedere a titolo gratuito gli stessi medicinali ad altre farmacie qualora si configuri il carattere di urgenza terapeutica”. I singoli “medici chirurghi e veterinari, i direttori sanitari o responsabili di ospedali, case di cura in genere, privi dell’unità operativa di farmacia, e titolari di gabinetto per l’esercizio delle professioni sanitarie”, possono invece acquistare i medicinali necessari, sia in farmacia sia presso grossisti, facendone “richiesta scritta in triplice copia(art 42, comma 1) al venditore. Una copia deve essere trattenuta per documentazione, due vengono lasciate al venditore che ne trasmetterà una all’Azienda Sanitaria nel cui territorio ha la propria sede (art 42, comma 1). La consegna dei medicinali acquistati può essere fatta dal venditore “a mezzo di un qualunque dipendente dell’ente o dell’impresa, debitamente autorizzato, direttamente al domicilio dell’acquirente, previo accertamento dell’identità di quest’ultimo e annotando i dati del documento di riconoscimento in calce al buono acquisto” oppure tramite “pacco postale assicurato” oppure “mediante agenzia di trasporto o corriere privato” (art. 41, comma 1).  Ogni acquisto o cessione, anche a titolo gratuito,  di sostanze o medicinali inclusi nelle succitate tabelle deve essere “iscritto in un registro speciale nel quale senza alcuna lacuna, abrasione o aggiunta, in ordine cronologico, secondo una progressione numerica unica per ogni sostanza o medicinale” (art 60, comma 1) è tenuto in evidenza il movimento di entrata ed uscita”. Invece le unità operative delle strutture sanitarie pubbliche e private (compresi i servizi territoriali) devono dotarsi di un diverso “registro di carico e scarico”, “vidimato dal direttore o da un suo delegato” conforme al modello predisposto dal Ministero della Salute (art. 60, commi 3, 4 e 6). Il Ministero della Salute ha stabilito inoltre con il Decreto Ministero della Salute, 3 agosto 2001 (e successiva  Circolare Ministero della Salute, 8 ottobre 2001, prot. 800.UCS/Agl/5374 ) e con Decreto 11 maggio 2010 le modalità per l’utilizzo di un eventuale registro informatico (art.60, comma 5)  I registri delle Unità Operative sono conservati per due anni dal responsabile dell’assistenza infermieristica (art. 60, comma 6). Il comma 8 dell’art. 60 prevede che periodiche ispezioni vengano effettuate dal direttore responsabile del servizio farmaceutico e che se ne trasmetta il verbale al direttore sanitario. I singoli medici e i direttori sanitari delle strutture prive di farmacia interna, che acquistano i medicinali secondo le procedure indicate nell’articolo 42, debbono anch’essi tenere “un registro di carico e scarico, nel quale devono specificare l’impiego dei medicinali stessi” (art 42, comma 3). L’eventuale perdita o sottrazione dei registri deve essere denunciata entro 24 ore dalla scoperta (art. 67, comma 1). La mancata osservanza delle procedure succitate è punita penalmente con l’arresto fino a due anni o con un’ammenda (art 68, comma 1) o con una sanzione amministrativa (art. 68, comma 1 bis).  Benché le citate norme di legge siano anche troppo dettagliate rispetto alle procedure da attuare, l’estrema varietà delle situazioni concrete e, soprattutto il sovrapporsi, a tutti i livelli, di direttive interpretative non sempre chiare e coerenti, determinano tuttora alcune incertezze operative. In questa nota cercheremo di risolverle alla luce dei documenti e della giurisprudenza di cui siamo a conoscenza.

L’acquisto degli stupefacenti da parte di ASL e Ospedali provvisti di farmacia interna

I Servizi Tossicodipendenze possono essere aggregati ad una struttura sanitaria dotata di farmacia interna, come per esempio un ospedale. In questo caso (articolo 38, comma 1 del citato TU) l’acquisto degli stupefacenti compresi nelle sezioni A, B e C della tabella medicinali (tra cui metadone, buprenorfina e GHB ) avviene presso le imprese autorizzate al commercio all’ingrosso e compete al direttore della farmacia. In caso di assenza dal servizio del direttore della farmacia, l’acquisto può essere effettuato da colui che ne esercita le funzioni, secondo quanto previsto dalla normativa vigente per le sostituzioni dei dirigenti. Per l’acquisto deve essere utilizzato un bollettario buoni-acquisto predisposto dal Ministero della Salute (art.38, comma 1). Il Decreto Min. Salute 18 dicembre 2006 ha approvato un nuovo modello di buono cumulativo che consente l’acquisto di sostanze iscritte in tutte le sezioni. Questo buono, numerato secondo una progressione annuale per ciascuna impresa o farmacia, può anche essere stampato al momento dell’ordine ed è reperibile sul sito del Ministero nella sezione “sostanze stupefacenti e psicotrope”. Viene compilato o stampato in quattro copie di cui una conservata dall’acquirente, una inviata all’Ufficio Centrale Stupefacenti del Ministero o all’ASL in cui è situata la farmacia, una conservata dal cedente. Infine una copia di riscontro va inviata al cedente e poi rinviata all’acquirente dopo aver specificato i quantitativi effettivamente consegnati. L’ordine, infatti, potrebbe essere evaso anche parzialmente. Nel caso la richiesta non potesse essere evasa il buono viene restituito all’acquirente. La quantità richiesta può essere indicata in peso, in volume o in numero di confezioni.  L’acquirente deve conservare la copia insieme alla fattura o, se questa non viene emessa, alla bolla di accompagnamento. La Circ. Min. Salute 15-1-2007, prot. DGFDM/VIII/P/C.l.a.c/1470, ha specificato, inoltre, che l’ordine può avvenire anche solo per via telematica purchè la firma sia certificata. Il buono acquisto da allegare alla fattura o alla bolla di accompagnamento deve essere, però, sempre cartaceo. I farmaci corrispondenti ad un determinato ordine devono essere recapitati con un’unica consegna, anche se, come si è detto, è possibile consegnarne una quantità inferiore a quella richiesta sul buono. Per la quantità non disponibile si dovrà inviare un nuovo buono. I direttori di farmacia devono conservare i buoni per 5 anni. In successiva Circ. Min. Salute 22-2-2007 prot. DGFDM/VIII/P/C.l.a.c/6674 sono state fornite ulteriori precisazioni. La firme dell’ordinante e del consegnante devono essere in originale solo sulla prima copia del buono mentre possono essere a ricalco su quelle successive. La copia di riscontro non necessariamente deve accompagnare fisicamente la spedizione, purchè sia recapitata il prima possibile.  La Circ. Min Salute15-1-2007, prot. DGFDM/VIII/P/C.l.a.c/1470 precisa che il numero e la data del buono devono essere riportati nel registro di entrata e uscita del direttore di farmacia. La legge prescrive che “in caso di perdita, anche parziale, del bollettario buoni-acquisto, deve essere fatta, entro 24 ore dalla scoperta, denuncia scritta all’autorità di pubblica sicurezza” (art. 38, comma 2) pena una sanzione amministrativa pecuniaria.

L’acquisto di stupefacenti da parte di medici, veterinari, ospedali e ASL sprovvisti di farmacia interna e titolari di gabinetti per l’esercizio delle professioni sanitarie

L’acquisto di stupefacenti in tabella medicinali, sezioni A, B e C da parte di ASL e Ospedali sprovvisti di farmacia interna o da parte di titolari di gabinetto per l’esercizio delle professioni sanitarie (cioè di strutture ambulatoriali, con una propria organizzazione e ragione sociale, dove operano professionisti sanitari per attività complesse) o da parte di singoli medici e veterinari deve avvenire, come si è detto, secondo il dettato dell’art. 42 del TU 309/90.  La richiesta deve quindi essere fatta per iscritto, in triplice copia (non è previsto un modello ufficiale) dal medico o veterinario o titolare di gabinetto o direttore sanitario o responsabile di ospedale o casa di cura in genere “alla farmacia o al grossista di medicinali”. Nel caso di ASL o di Ospedali che abbiano tra le proprie Unità Operative anche Servizi Tossicodipendenze (d’ora in poi SERT) la figura competente è quindi il direttore sanitario. Questa figura viene spesso identificata con il direttore sanitario aziendale, creato dalla riforma sanitaria ex art. 3 D. Lgs. 502/1992. In altri casi è stata invece identificata, data l’evoluzione delle funzioni attribuite ai “vecchi” direttori sanitari, con il direttore sanitario di distretto o, per le aziende ospedaliere, di presidio. Permangono divergenze di interpretazione rispetto alla facoltà del direttore sanitario, comunque identificato, di delegare ad altro sanitario e, in particolare, ai responsabili dei SERT, le proprie funzioni.  Chi non lo ritiene legittimo osserva infatti, in primo luogo, che nella normativa vigente, quando il legislatore ha ritenuto di consentire la delega, la ha espressamente inserita nella norma. Ciò è avvenuto, per esempio, con l’art. 60, commi 1 e 6 del citato T.U. che attribuiscono, rispettivamente, al “responsabile dell’Azienda Unità Sanitaria Locale o suo delegato” e al “direttore sanitario o suo delegato” compiti di vidimazione dei registri. Di tale possibilità, invece, non si fa cenno nel caso in esame. Peraltro, per le strutture sanitarie, come ASL e Ospedali, che utilizzano grandi quantità di stupefacenti, l’intero impianto normativo sembra voler nettamente differenziare chi acquista da chi prescrive i farmaci, come si evince anche dalla netta distinzione dei registri imposta dal citato Decreto Min. San 3 agosto 2001. In effetti anche la Circ. Min. Salute 1 marzo 2006, prot. DGFDM/VIII/P/c.l.a.c/8196, punto 9, fa riferimento unicamente alla richiesta scritta “a cura del direttore sanitario o del responsabile dell’Ospedale o della Casa di Cura”, senza alcun accenno alla possibilità di delega.  Ciò nonostante, in alcune aziende, i direttori sanitari e i responsabili delle UU.OO. SERT hanno ritenuto attuabile la delega osservando, per esempio, che “la legge non stabilisce alcuna riserva in capo al direttore sanitario” e che pertanto “il direttore sanitario possa delegarne l’esercizio trattandosi, tra l’altro, di attività gestionale”.  In ogni caso, naturalmente, non costituisce “delega” la posizione del sostituto del direttore sanitario quando quest’ultimo è assente dal servizio per congedo, malattia o altro impedimento tanto che, negli atti firmati in questa veste, egli si denominerà non con l’indicazione del suo consueto incarico ma con quella di “Direttore sanitario facente funzioni”.  Per quanto riguarda le modalità di acquisto, esso può avvenire sia in farmacia sia da un grossista e la quantità richiesta non deve eccedere quella occorrente per le normali necessità. Delle tre copie a tal fine compilate, la prima rimane all’acquirente che la conserverà per 5 anni, mentre le altre due vengono inviate al venditore, che ne trattiene una e invia l’altra alla propria ASL. Ricordiamo infine che, per motivi fiscali indipendenti dalla normativa sugli stupefacenti, le fatture relative all’acquisto devono essere conservate per 10 anni.

L’acquisto di stupefacenti da parte di Servizi Multidisciplinari Integrati (SMI)

Il nuovo testo dell’art. 116 del TU 309/90 prevede anche la possibilità di istituire i cosiddetti “SERT privati” indicati come Servizi Multidisciplinari Integrati (d’ora in poi SMI). In questo caso, le procedure sono analoghe a quelle previste per i SERT pubblici nel caso si tratti di Unità Operative di Ospedali o Case di Cura private mentre nel caso di strutture autonome l’acquisto potrà essere fatto dal direttore sanitario della struttura stessa, in analogia a quanto avviene per i titolari di gabinetti medici.

L’acquisto di stupefacenti da parte di medici e veterinari per uso urgente

L’acquisto, la detenzione e il trasporto di stupefacenti per uso urgente da parte di singoli medici e veterinari sono autorizzati previa autoricettazione (art. 43, comma 6, TU 309/90) con il ricettario ministeriale a ricalco utilizzato per le prescrizioni ai pazienti (previsto dall’art. 43, comma 1). Nello spazio destinato all’intestazione con le generalità del paziente il medico o il veterinario scriverà la dicitura “autoricettazione”, seguita dalla prescrizione, dal timbro e dalla firma. Le autoricettazioni non sono rimborsate dal Sistema Sanitario Nazionale. Naturalmente, in questo caso, il sanitario non è tenuto a rispettare il limite di 30 giorni di terapia previsto per le ricette intestate ai pazienti (comunicazione presidente FNOMCeO, n. 129 del 17 ottobre 2001, citante Nota Ministero della Salute 10 ottobre 2001, tuttora attuale). Deve tuttavia evitare, in analogia a quanto previsto dallo stesso art. 43, comma 1, di detenere quantità significativamente superiori al normale fabbisogno. Il sanitario autoricettante deve conservare per due anni copia della ricetta, allegandola ad un registro delle prestazioni (per cui non esiste un modello ufficiale) su cui annoterà le movimentazioni in entrata ed uscita dei medicinali (art. 43, comma 6).

Consegna e trasporto dei farmaci stupefacenti da parte dei fornitori

L’art. 41 del DPR 309/90 definisce le modalità di consegna degli stupefacenti “da parte degli enti e delle imprese autorizzate a commerciarli”. La consegna può essere fatta personalmente al destinatario, che provvede direttamente al ritiro (annotandone sul buono acquisto gli estremi di un documento) oppure tramite un qualunque dipendente debitamente autorizzato, sempre annotando gli estremi di un documento in calce al buono acquisto, oppure inviando il quantitativo con pacco postale assicurato. E’ possibile anche l’invio con agenzia di trasporto o corriere privato. In questo caso, la versione della legge pubblicata sul sito del governo http://www.trovanorme.salute.gov.it alla data del 25 novembre 2014, porta ancora l’indicazione che, se si tratta di sostanze inserite nella tabella I o nella tabella II, sezione A, in quantitativi superiori ai 100 grammi (per esempio: undicimila flaconi da dieci milligrammi di metadone sciroppo), il mittente deve informare preventivamente il più vicino ufficio della Polizia, della Guardia di Finanza o dei Carabinieri.  Purtroppo la tabella I e II non hanno, nella versione in vigore dell’art 14, alcuna sezione che invece è presente nella quinta tabella riservata ai medicinali. Osserviamo anche, per inciso, che, come risulta dal comma 1, questo articolo riguarda esclusivamente chi commercia stupefacenti e non chi li prescrive, li somministra o li utilizza. Sfortunatamente, questo particolare è sfuggito al legislatore che, con legge 12/2001, emendò il TU. E’ stato così introdotto il comma 1-bis che “in deroga alle disposizioni di cui al comma 1” autorizza la consegna da parte di operatori sanitari (in realtà mai prima vietata, tanto meno da questo articolo) di quantità terapeutiche di stupefacenti a pazienti in assistenza domiciliare, esclusi quelli in terapia per tossicodipendenza, purchè con prescrizione del curante.  Tutto ciò, come si vedrà oltre, ha generato ulteriore confusione e ha richiesto ulteriori precisazioni da parte ministeriale.

Il registro speciale di entrata e uscita delle ASL e degli Ospedali provvisti di farmacia interna

L’articolo 60, commi 1 e 2 del TU estende alle farmacie aperte al pubblico e alle farmacie ospedaliere l’obbligo di riportare su un registro “ogni acquisto o cessione, anche a titolo gratuito, senza alcuna lacuna, abrasione o aggiunta, in ordine cronologico, secondo una progressione numerica unica per ogni sostanza o medicinale“.  Tale registro è conforme al modello predisposto dal Ministero della Salute (art.60, comma 4),”è numerato e firmato in ogni pagina dal responsabile dell’Azienda Unità Sanitaria Locale o da un suo delegato” (art.60, comma 1) e va “conservato per 2 anni dal giorno dell’ultima registrazione” (art 60, comma 1).  Rileviamo che il modello tuttora utilizzato, in mancanza di successivi decreti, è quello previsto dal D.M. 20 aprile 1976, come modificato dal D.M. 15 marzo 1985(quest’ultimo abrogato con DM 11 maggio 2010).  Tale modello contiene ancora la dizione “autorità sanitaria locale” e, nelle istruzioni riportate nella prima pagina, il riferimento all’abrogata legge 685/75.  L’Autorità Sanitaria Locale, come è noto, è il sindaco (art. 13, comma 2 della legge 788/1978). Tuttavia, nonostante il decreto non sia stato aggiornato, e quindi il modello di registro che ne deriva rimanga lo stesso, ciò non comporta che si possa disattendere il dettato della legge attualmente in vigore. Perciò il registro dovrà essere vidimato dal responsabile dell’Azienda Sanitaria Locale (cioè dal Direttore Generale o da un suo delegato) anche se ciò non corrisponde alla dizione pre-stampata. L’art. 60, comma 5 del TU prevede anche la possibilità di registrazione su supporto informatico rinviando a specifico decreto ministeriale.  Il ministero ha provveduto pertanto all’emanazione del DM 11 maggio 2010, entrato in vigore l’11 giugno 2010, che (vedi oltre) ha, tra l’altro, sostituito l’obbligo della vidimazione con l’obbligo di comunicazione all’ASL competente per territorio (art. 2, comma 1, punto b). La registrazione, in ogni caso, deve avvenire con mezzo indelebile (penna stilografica, penna biro, macchina da scrivere, stampante o altro mezzo non modificabile). Il movimento dei medicinali deve essere riportato sul registro entro 48 ore dalla dispensazione (art. 60, comma 2).  Eventuali errori di trascrizione (per esempio scrivere ”fiale” invece di “flaconi”) non devono essere “corretti“ ma “rettificati” apponendo una riga sulla registrazione errata (che deve rimanere perfettamente leggibile) e riscrivendo a lato o in altro spazio libero la parola o il numero rettificato. Qualora venga per errore registrata una operazione completamente errata (per esempio caricare un farmaco nella pagina dedicata ad un altro o scaricare due volte una certa quantità come consegnata ad una Unità Operativa) l’operazione potrà essere annullata. L’operazione di annullamento è, essa stessa, un’operazione, purchè si utilizzi poi una nuova riga del registro. Pertanto, la numerazione progressiva (che, come si è detto, è obbligatoria per ogni operazione) deve, a nostro giudizio, comprendere anche le operazioni di annullamento.  Sul registro, per ogni operazione, vanno annotati nelle apposite colonne, i seguenti dati:

  • numero progressivo di movimentazione
  • data dell’operazione
  • tipo di documento a cui si fa riferimento come per esempio: buono acquisto, richiesta (del farmaco), denuncia (di furto o smarrimento), verbale (di rottura flaconi), ecc.
  • numero identificativo del documento
  • data del documento
  • origine o destinazione del farmaco come per esempio: ditta venditrice, Unità Operativa richiedente, furto, ecc.
  • quantità movimentata (in entrata o in uscita)
  • giacenza residua

Ogni pagina del registro deve essere intestata ad una sola sostanza o preparazione. Nel caso di specialità medicinali, si imposterà una pagina per ogni forma farmaceutica, dosaggio e confezionamento dello stesso prodotto come per esempio: “Subutex  scatole da 7 (sette) compresse da 2 (due) milligrammi” oppure “Metadone cloridrato sciroppo, flaconi da 5 (cinque) milligrammi allo 0,1%”. L’unità di misura utilizzata dovrà, naturalmente, essere indicata (in peso, volume o n. di confezioni) e mantenuta costante. Per esempio si potrà scaricare il Subutex in milligrammi o scatole ma non ora in milligrammi ora in scatole.  Alla fine di ogni pagina andranno trascritti i dati riassuntivi di entrate, uscite e giacenza che andranno riportati all’inizio della prima pagina successiva intestata alla stessa sostanza o preparazione. Lo stesso registro può quindi essere utilizzato per diversi medicinali. L’art. 62, comma 1, prevede, inoltre, che il 31 dicembre di ogni anno si proceda alla chiusura del registro. Questa operazione consiste nell’annotare nell’ultima pagina utilizzata per ogni medicinale, la somma dei movimenti effettuati durante l’anno e cioè: 1) la giacenza al 31 dicembre dell’anno precedente, 2) il totale delle entrate nell’anno che si chiude, 3) il totale delle uscite, 4) la giacenza al 31 dicembre dell’anno che si chiude che deve corrispondere alla giacenza residuata dell’anno precedente sommata alle entrate meno le uscite. Le righe non utilizzate dovranno essere annullate tracciandovi sopra una linea obliqua e riportandovi la frase “operazione chiusura fine anno ex art. 62 DPR 309/1990”. La quantità in giacenza al 31 dicembre deve essere riportata nella colonna “giacenza” in una nuova pagina con la medesima intestazione 

Il registro di “carico e scarico” per gli acquisti effettuati dalle ASL e dagli Ospedali sprovvisti di farmacia interna e dai singoli medici o veterinari

Il TU fa riferimento al registro di “carico e scarico” per gli acquisti effettuati dai singoli medici e dai direttori sanitari di ospedali, ASL e case di cura sprovvisti di farmacia interna all’art. 42, commi 3 e 4.  Tale registro, “nel quale devono specificare l’impiego dei medicinali stessi” (art 42, comma 3), “deve essere vidimato e firmato in ciascuna pagina dall’autorità sanitaria locale” (cioè dal sindaco) in base a quanto disposto dal comma 4. Tale disposizione, purtroppo, pare essere contraddetta, nel testo aggiornato e pubblicato nel novembre 2014 sul sito governativo http://www.trovanorme.salute.gov.it/, dall’art. 60, comma 1. In tale articolo infatti ci si riferisce testualmente ai “direttori sanitari e ai titolari di farmacia di cui all’art 42” per imporre loro la conservazione del “registro di cui al presente comma” per due anni. Il “registro di cui al presente comma” è però indiscutibilmente diverso da quello citato dall’art. 42.  Poco sopra infatti si dice testualmente “tale registro è numerato e firmato in ogni pagina dal responsabile dell’azienda unità sanitaria locale o da un suo delegato”. Questo registro non si identifica nemmeno con quello delle Unità Operative (citato all’art. 60, commi 3 e 6, vedi oltre), vidimato dal direttore sanitario o da un suo delegato. In sintesi, dall’esame del testo legislativo, si dedurrebbe l’esistenza di tre tipi di registri:

  • per i direttori/titolari di farmacia ospedaliera o aperta al pubblico, quello “speciale” di “entrata e uscita” previsto dall’articolo 60 commi 1 e 2, vidimato dal responsabile dell’ASL o suo delegato (benché il modello ministeriale tuttora in uso porti ancora il termine “Autorità Sanitaria Locale” e il riferimento alla legge 675/1975, abrogata);
  • per direttori sanitari di ospedali e ASL senza farmacia, nonché per singoli medici, quello “di carico e scarico” previsto dall’ 42, vidimato dall’Autorità Sanitaria Locale, cioè dal Sindaco o da un suo delegato (art 42, comma 4) che non è di modello approvato ma anche quello di cui all’art. 60 comma 1, che è di modello ministeriale secondo il disposto del art 60 comma 4;
  • quello di “carico e scarico” delle Unità Operative (vedi oltre), pubbliche e private, con attività clinica (corrispondente al modello di cui al Decreto Min. Salute 3 agosto 2001), vidimato dal direttore sanitario o suo delegato (art. 60, commi 3 e 6).

L’evidente contraddizione contenuta nel risultante testo ha indotto a diverse interpretazioni. L’espressione “registro di cui al presente comma” contenuta nell’art. 60 comma 1, infatti, ha indotto alcuni interpreti della legge (tra cui la regione Lombardia, cfr. nota Direzione Generale Sanità prot. H1.2010.0031252 del 21-9-2010) a ritenere che il registro “di carico e scarico” di cui all’art. 42 debba essere “numerato e firmato” dal responsabile dell’ASL come disposto dal citato comma dell’art. 60.  Tale posizione sarebbe confermata dal fatto che l’art. 64, comma 1 (che prescrive quali dati relativi a ciascuna somministrazione devono essere riportati sul registro) non fa più riferimento, come in una precedente versione del DPR, ai “registri di cui agli articoli 42, 46 e 47” ma solo agli “articoli 46 e 47” (relativi alle navi e ai cantieri di lavoro). In realtà l’eliminazione del riferimento all’art. 42 nel citato art. 64 sana una precedente incongruenza. Infatti mentre dai registri di navi e cantieri lo scarico avviene per somministrazioni ai pazienti o agli animali, dal registro di cui all’art. 42 i farmaci vengono scaricati per essere caricati sul registro delle Unità Operative e ciò rendeva già impossibile registrare dati come “il cognome, il nome e la residenza del richiedente (…) la diagnosi o la sintomatologia”. Pur prendendo atto della difficoltà creata dalla attuale formulazione degli articoli citati e concordando sul fatto che il registro di cui all’art. 42 meglio corrisponda al modello ministeriale citato dall’art 60, comma 4, riteniamo quindi che non si possa prescindere dal chiaro dettato del comma 4 dell’art. 42: “Detto registro deve essere vidimato e firmato in ciascuna pagina dall’autorità sanitaria locale”. A nostro giudizio, quindi, tale registro deve tutt’ora essere vidimato dal sindaco. La sua tenuta è compito del direttore sanitario (per la cui identificazione e facoltà di delega si rimanda a quanto già sopra illustrato). Per quanto riguarda la custodia di farmaci e registro, di regola, la struttura dovrebbe disporre di un locale idoneo (cioè chiuso a chiave e ad accesso controllato) e distribuire i medicinali alle diverse Unità Operative con le modalità sotto illustrate. Di fatto, a volte, si è verificato che non si sia reperito un locale centralizzato e si sia deciso di far consegnare i farmaci dal venditore direttamente nelle diverse sedi di utilizzazione. In questi casi la soluzione più in linea con le suddescritte indicazioni di legge sembra essere la seguente: il direttore sanitario, comunque identificato o rappresentato, si dovrebbe recare nel punto di consegna, dovrebbe caricare il farmaco sul registro di cui all’art. 42 e dovrebbe scaricarlo subito dopo all’Unità Operativa che, a sua volta, lo caricherà sul diverso registro previsto dal citato Decreto Min. Salute 3 agosto 2001.

Le modalità di annotazione delle movimentazioni sono analoghe a quelle descritte all’art 60. La chiusura annuale non è tuttavia necessaria, perché è prevista solo dall’art. 62 che si riferisce unicamente al registro delle farmacie. Come si è detto, la vigente versione dell’art. 60 comma 1, dispone infine che “i direttori sanitari (…) di cui all’art. 42 comma 1, conservano il registro di cui al presente comma per due anni dal giorno dell’ultima registrazione”. Segnaliamo che, nel caso in cui questo registro venga utilizzato, come ancora consente l’articolo 42, da singoli medici o veterinari che, quindi, non cedono i farmaci ad altre Unità Operative ma lo utilizzano direttamente per i propri pazienti, l’art. 64 del TU, pur citando medici e veterinari, non cita più l’art 42. Tuttavia essendo la situazione analoga a quelle descritte negli artt. 46 e 47 per navi e cantieri di lavoro riteniamo che vi debbano essere annotati, per analogia, oltre alla data della somministrazione, nome cognome e residenza del “richiedente”, cioè, si suppone, del paziente o del proprietario dell’animale, e anche la diagnosi o la sintomatologia.  Ciò a differenza da quanto previsto per le somministrazioni effettuate ai pazienti dalle Unità Operative in base al Decreto Min. 3 Agosto 2001 (vedi oltre). La possibilità di indicare solo il numero di cartella clinica o altro identificativo diverso dalle generalità non è, in questo caso, contemplato “salvo quanto stabilito nell’art. 120, comma 5”. L’articolo 120 è quello concernente il diritto all’anonimato ma il comma 5, oltre ad essere stato abrogato con referendum, si riferiva all’obbligo dei medici di segnalare ai SERT i pazienti che non avessero chiesto l’anonimato, senza alcun riferimento a terapie con stupefacenti. Si deduce, quindi, che l’indicazione del comma 5 sia un ulteriore errore materiale e che la volontà del legislatore fosse quella di rinviare all’articolo 120, comma 6 che, per l’appunto, garantisce l’anonimato su semplice richiesta, ma solo ai pazienti tossicodipendenti. Un altro punto oscuro è come si possano scaricare i farmaci utilizzati per animali privi di proprietario o il cui proprietario sia ignoto (si pensi al caso frequente di cani e gatti vittime di investimenti). Tutto ciò considerato sembra quindi consigliabile che i singoli professionisti ricorrano all’autoricettazione prevista dall’art. 43, comma 6.

Il registro di carico e scarico delle unità operative e il loro approvvigionamento

Il Ministro della Salute ha approvato, con il già citato Decreto Min. Salute 3 agosto 2001, il modello di registro per le Unità Operative del sistema sanitario nazionale, previsto dall’art. 60 commi 3 e 4 del TU. Una successiva ulteriore modifica (con legge 49/2006) del DPR 309/90 ha poi fatto obbligo a tutte le Unità Operative pubbliche e private, nonché ai Servizi Territoriali, di dotarsi di tale registro che viene definito (cfr. allegato al Decreto Min. 3 Agosto 2001”Norme d’uso del registro di carico e scarico delle sostanze stupefacenti e psicotrope delle Unità Operative)  “unico documento su cui annotare le operazioni di approvvigionamento, somministrazione e restituzione dei farmaci stupefacenti e psicotropi” presso “le Unità Operative delle strutture sanitarie pubbliche e private, nonché delle Unità Operative dei Servizi Territoriali delle Aziende Sanitarie Locali“. Non sembrerebbe esserci dubbio, pertanto, che questo sia l’unico registro utilizzabile nei SERT inseriti in aziende sanitarie o ospedaliere, indipendentemente dal fatto che l’azienda di appartenenza sia dotata di farmacia interna. Conseguentemente, l’approvvigionamento delle Unità Operative non dovrebbe avvenire direttamente presso i produttori o i grossisti ma sempre attraverso una richiesta alla farmacia interna o alla direzione sanitaria, comunque rappresentata. La legge non dice espressamente come fare tali richieste ma, dal contesto normativo, sembra opportuno che ogni Unità Operativa venga dotata di blocchetti numerati costituiti da moduli autoricalcanti, anch’essi numerati, su cui indicare la denominazione dell’Unità Operativa, la data, il medicinale richiesto in conformità alle modalità di carico e scarico. Tali blocchetti potranno essere distribuiti, su richiesta scritta del responsabile, dalla farmacia, dal direttore sanitario o dal servizio farmaceutico.  La richiesta rappresenterà il documento citato nello scarico sul registro del direttore di farmacia (ove esistente) o del direttore sanitario. Il registro delle Unità Operative, allegato al succitato decreto, riporta integralmente sulla seconda pagina di copertina, una serie di indicazioni che sono parte integrante del decreto stesso. Con esse si precisa, tra l’altro, che il registro è costituito da cento pagine pre-numerate e che deve contenere nome e cognome del paziente oppure il numero della cartella clinica o altro tipo di identificazione. L’art. 60 comma 8 dispone inoltre che il direttore responsabile del servizio farmaceutico vigila sulla corretta tenuta del registro inviando verbale delle ispezioni alla direzione sanitaria. In analogia a quanto sopra esposto per gli altri registri, ogni pagina deve essere intestata ad una sola preparazione medicinale, indicando forma farmaceutica, dosaggio e unità di misura adottata per la movimentazione.  I registri delle Unità Operative sono conservati per due anni dal responsabile dell’assistenza infermieristica (art. 60, comma 6). Il “dirigente medico preposto all’Unità Operativa” è responsabile della corrispondenza tra la giacenza contabile e quella effettiva” (art. 60, comma 7). A questo proposito è stato sollevato presso il Ministero della Salute il problema della responsabilità in caso di assenza o impedimento del dirigente responsabile oppure di Unità Operative dirette da psicologi. Con nota inviata in risposta a specifico quesito il 28-1-2010, prot. n. DGFDM.VIII/I.5.f.e./2010/ la Direzione Generale Farmaci e Dispositivi Medicina ha confermato che “per il dirigente medico preposto all’Unità Operativa deve intendersi il dirigente medico a cui il direttore sanitario ha assegnato la responsabilità dell’unità operativa” aggiungendo che “in assenza o impedimento del dirigente medico responsabile la responsabilità deve essere assegnata ad altro dirigente medico individuato dal direttore sanitario”. Osserviamo che non compete al direttore sanitario, ma al direttore generale (su proposta del direttore di struttura complessa), assegnare la responsabilità delle Unità Operative strutture semplici (art. 79 comma 4 del T.U. del Contratto Nazionale di Lavoro della dirigenza medica e veterinaria del Servizio Sanitario Nazionale 1996-2007). Le Unità Operative strutture complesse devono essere assegnate invece ad un sanitario scelto dal direttore generale tra una rosa di candidati selezionati tramite concorso pubblico (DPR 484/1997). Ogni responsabile o direttore di struttura nomina poi il proprio sostituto tra i dirigenti che ne abbiano i titoli, definiti dall’art.18 del CCNL 8-6-2000 integrato dall’art. 11 del CCNL 2002-2005 (incarico di responsabilità di struttura semplice o ad alta specializzazione o di tipo c). Riteniamo pertanto che la più corretta interpretazione dell’art. 60, comma 7 sia la seguente. Nelle strutture semplici dirette da un medico, che abbia indicato come suo sostituto altro dirigente medico titolato alla funzione, responsabile della giacenza è chi svolge in quel momento funzione di responsabile dell’Unità Operativa. Nel caso non ci siano dirigenti medici in grado di assumere il ruolo di sostituto del responsabile (per esempio per mancanza di requisiti di anzianità di servizio) la responsabilità, in assenza del titolare, è del direttore medico di struttura complessa che potrà delegare, per questo specifico compito, altro medico impegnato in quella Unità Operativa nella prescrizione di stupefacenti. Lo stesso dovrebbe valere, a nostro giudizio, in ogni caso, quando una struttura semplice ha come responsabile uno psicologo. L’alternativa di assegnare, seppure per decisione del direttore sanitario, ad un dirigente medico non responsabile di struttura una funzione che il citato art. 60, comma 7 attribuisce testualmente al “dirigente medico preposto all’Unità Operativa” ci pare incompatibile con il disposto legislativo. Nel caso atipico (ma verificatosi in alcune regioni) di uno psicologo responsabile di struttura complessa, senza responsabili medici di struttura semplice titolati in quanto tali a rispondere della giacenza, riteniamo che il trattamento con stupefacenti dovrebbe essere affidato ad altra struttura sanitaria, mancando la fondamentale figura di garanzia di un direttore in grado di rispondere di una terapia potenzialmente pericolosa per la salute individuale. Come già chiarito in nota dell’Ufficio Centrale Stupefacenti, 6 giugno 1996 prot. F800.UCS/AG.l/3239, in caso di somministrazioni parziali di fiale o di specialità multidose nel registro andrà scaricata l’intera fiala o flacone mentre il rimanente andrà versato nei rifiuti speciali. Nelle note sarà specificata la quantità effettivamente utilizzata corrispondente a quella riportata in cartella clinica. E’ pertanto illegittima, e non da oggi, la prassi, in passato in auge in alcuni SERT, di prelevare con la siringa quantità di metadone inferiori a quelle contenute nei flaconi suddividendole tra diversi pazienti. In concreto se, per assurdo, si ritenesse assolutamente necessario prescrivere quantità di metadone pari, per esempio a 23 milligrammi dovrebbero essere impiegati un flacone da 20 milligrammi e uno da 5 milligrammi interamente scaricato e il residuo di 2 milligrammi non potrà essere in alcun modo utilizzato ma dovrà essere eliminato annotandone il motivo sul registro. A proposito dell’utilizzo dello spazio che il registro destina alle annotazioni, suggeriamo di non utilizzarlo per informazioni scontate come “somministrazione + affido” o simili, anche perché la formulazione dell’art. 43, comma 5, non accenna in alcun modo alla “somministrazione” ma si riferisce solamente alla consegna dei farmaci. Nello spazio citato si segnaleranno, invece, informazioni rilevanti per spiegare eventi inusuali (esempio somministrazione di dose doppia a paziente che abbia vomitato oppure rottura di flaconi o altro).  Le annotazioni riguardanti il carico non si differenziano da quanto previsto per gli altri registri. Per quanto riguarda lo scarico, invece, si dovranno indicare nome e cognome o numero di cartella clinica o altro sistema di identificazione del paziente. I nomi e cognomi o le sigle dei pazienti dovrebbero essere scritte in stampatello, essendo la chiarezza della calligrafia un obbligo del pubblico dipendente. Viene inoltre prevista la possibilità di cessione ad altra Unità Operativa, indicandone la denominazione, e la possibilità di reso alla farmacia, ove esistente. Ogni pagina dovrebbe essere firmata dal medico, con calligrafia leggibile, dopo controllo della correttezza di tutto quanto ivi registrato. Segnaliamo nuovamente che le indicazioni contenute in questo decreto e nel modello di registro su come scaricare le quantità di farmaci utilizzate per i singoli pazienti non coincidono esattamente con quelle richieste dall’art. 64 per chi utilizza il registro di cui all’art. 42. I registri delle Unità Operative sono conservati per due anni dal responsabile dell’assistenza infermieristica (art. 60, comma 6). L’eventuale perdita o sottrazione dei registri deve essere denunciata entro 24 ore dalla scoperta (art. 67, comma 1). La mancata osservanza delle procedure succitate è punita penalmente con l’arresto fino a due anni o con un’ammenda (art 68, comma 1) o con una sanzione amministrativa (art.68 comma 1 bis).

Scarico effettuato utilizzando sistemi informatici: il registro delle Unità Operative

L’art. 60 comma 5 del TU dispone che “in alternativa ai registri di cui ai commi 1 e 3 (cioè il registro per l’acquisto da parte della farmacia o direzione sanitaria e il registro delle Unità Operative) il Ministero della Salute stabilisce con proprio decreto le modalità di registrazione su supporto informatico della movimentazione delle sostanze e dei medicinali di cui alle tabelle previste dall’art. 14”   Già il Decreto Min. Salute 3 agosto 2001Approvazione del registro di carico e scarico delle sostanze stupefacenti e psicotrope per le Unità Operative“ prevedeva (art.1, comma 3) la possibilità di utilizzare “in alternativa” al registro delle Unità Operative “un modulo continuo adatto ad essere utilizzato come supporto cartaceo per sistemi informatici”, purchè numerato e vidimato nello stesso modo. Alcuni SERT non dispongono più di stampanti che possano utilizzare un modulo continuo. Con una nota del 18-9-2002 prot. 800.UCS/AG1/2338, diretta all’Azienda USL di Pescara, l’Ufficio Centrale Stupefacenti esprimeva il parere che si potessero utilizzare pagine singole se successivamente “legate tra loro per formare un blocco unico”. Osserviamo a questo proposito che la nota di un funzionario non può modificare un decreto. D’altro canto l’evoluzione tecnologica non può certo procedere alla velocità dei decreti ministeriali. Dato che la ragione per cui il decreto prevede il modulo continuo si presume sia quella di rendere impossibile la sostituzione delle pagine riteniamo che, per poter almeno sostenere di aver rispettato il contenuto, se non la forma, della norma citata sarebbe opportuno che, qualora si utilizzino fogli singoli, questi siano “autenticati” apponendo oltre alla vidimazione del direttore sanitario anche un timbro con la data in cui sono stati firmati in modo da rendere impossibile la sostituzione.  Queste procedure non costituirebbero, tuttavia, uno scarico informatizzato vero e proprio, cioè senza supporto cartaceo. I comuni sistemi di registrazione informatica, infatti, non sono indelebili. Si deve quindi tener presente, nel caso si usi uno dei tanti software che sono stati proposti ai SERT negli ultimi anni, che lo scarico è effettivamente effettuato solo dopo che i dati sono stati stampati sui fogli numerati.  La coincidenza nella lingua italiana dell’articolo indeterminativo “uno” con il numero “1” ha creato un ulteriore dubbio rispetto alla possibilità di disporre di più registri (per esempio uno su modulo cartaceo adatto allo scarico con computer e uno tradizionale). L’Ufficio Centrale Stupefacenti, con sua nota del 10 luglio 2001 prot. 800.UCS/AGl/4164 ha chiarito la possibilità di allestire due registri, indipendenti l’uno dall’altro, ognuno con propria numerazione. Con suo Decreto 11 maggio 2010 “Modalità di registrazione con sistemi informatici della movimentazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope, dei medicinali e delle relative composizioni di cui alle tabelle allegate al DPR 309/90” il Ministero della Salute, riferendosi al citato art. 60 (vedi comma 5) ha in seguito disposto una serie di norme per l’attivazione di veri e propri registri informatici. Tali registri devono rispondere alle seguenti caratteristiche (art. 1 comma 2):

  • il registro “è unico ed e’  realizzato  con  modalita’ “ tali da consentire la stampa e la visione  delle registrazioni  “separatamente  per  singola  sostanza”;
  • i movimenti sono registrati “contestualmente alla  effettiva   movimentazione”  utilizzando due numeratori cronologici annuali (uno assoluto e uno per sostanza);
  • deve registrare origine, destinazione, giacenza, documento giustificativo quest’ultimo consultabile “anche  separatamente dal sistema informatico”;
  • prevede la registrazione  «di  chiusura  annuale»,  nel rispetto di quanto stabilito dall’art. 62 del Testo Unico”, (si deduce solo per le Farmacie) e “una registrazione «di periodo»,  da  effettuarsi  con frequenza  almeno  mensile” (si deduce per tutti i soggetti obbligati a tenere un registro)  secondo schemi allegati al decreto;
  • le suddette registrazioni possono essere “stampate e  archiviate  fisicamente” oppure “conservate  su  supporti  informatici” secondo le disposizioni tecniche del Lgs. 82/2005;
  • in caso di conservazione su carta “il responsabile della tenuta del registro” indica il numero di pagine stampate con data e firma;
  • il tempo di conservazione con entrambi i metodi è quello previsto dal TU, cioè 2 anni;
  • l’obbligo di vidimazione, di cui all’art.  60,  comma  1”  (che riguarda le farmacie territoriali o ospedaliere) è sostituito dalla “comunicazione di cui al successivo 2 comma 1, lettera b” (art. 1, comma2, lettera j);
  • la vidimazione da parte del direttore sanitario prevista dal Decreto 3 agosto 2001 per le Unità Operative viene implicitamente citata nel successivo 2, comma ,  lettera a.

Nulla si dice, invece, rispetto alla vidimazione prevista da parte dell’autorità sanitaria locale (cioè dal sindaco) dall’art. 42 comma 4 per le direzioni sanitarie degli ospedali e ASL senza farmacia. Il contesto fa pensare ad un errore del legislatore che, già nell’emendamento all’art. 60 ex lege 38/2010 (concernente le cure pallaitive), sembra ignorare il tuttora vigente comma 4 dell’art. 42. Riteniamo pertanto che, anche in questo caso, sia possibile inviare una comunicazione al sindaco o, nell’ipotesi che si voglia aderire alla sopra illustrata interpretazione della Regione Lombardia, al direttore dell’ASL competente in sostituzione della vidimazione  Il Decreto prevede all’art 2 le seguenti “misure di sicurezza”:

  • il farmacista titolare (art. 2, comma 1, lettera a) è responsabile della tenuta del registro di cui all’ 60, comma 1 del TU 309/90;
  • “il dirigente medico  preposto all’unita’ operativa delle strutture sanitarie pubbliche e private” è responsabile (art. 2, comma 1, lettera a ) della tenuta del registro di cui all’ 60,  comma 3 del TU 309/90 ;
  • per entrambi “l’adozione del  registro  informatico   e’   preventivamente comunicata a mezzo raccomandata postale in carta semplice all’ASL competente per territorio” (art. 2, comma 1, lettera b)
  • “il responsabile del registro puo’ delegare l’accesso ad altra figura aziendale con documento redatto nei modi di legge, da allegare alle procedure interne (art. 2 comma 1, lettera c)
  • incaso di errore deve essere possibile la rettifica su altro rigo, senza cancellare i movimenti precedenti (art. 2 comma 1, lettera d)
  • “in caso di  malfunzionamento  del  sistema  informatico” i movimenti devono essere registrati “su modulo cartaceo conforme all’allegato 1” ed essere riportati in seguito nel registro informatico (art. 2 comma 1, lettera e) .
  • le modalita’ di accesso al registro devono rispettare “le  misure minime di sicurezza di cui all’allegato B del decreto legislativo  196/2003” (art. 2 comma 1, lettera c). 

Richiamiamo di seguito le norme previste dal Decreto Legislativo 196/2003.  Lart. 22, comma 6, di tale decreto dispone che “i dati sensibili e giudiziari contenuti in elenchi, registri o banche dati, tenuti con l’ausilio di strumenti elettronici, sono trattati con tecniche di cifratura o mediante l’utilizzazione di codici identificativi o di altre soluzioni che, considerato il numero e la natura dei dati trattati, li rendono temporaneamente inintelligibili anche a chi è autorizzato ad accedervi e permettono di identificare l’interessato solo in caso di necessità”. Naturalmente, nel caso di un registro per la documentazione dell’uso di stupefacenti, la sigla dovrà essere usata solo per i pazienti che hanno chiesto l’anonimato. Dovranno invece essere rigorosamente rispettate le misure minime di sicurezza imposte dal titolo V, capo I. In sintesi, le misure tecniche individuate dall’art. 34 e dall’allegato B del decreto sono le seguenti:

  1. deve esistere un codice per l’identificazione di ciascun incaricato associato ad una parola chiave conosciuta solo dal medesimo o ad una caratteristica biometrica come per esempio impronta digitale;
  2. la parola chiave deve essere modificata almeno ogni tre mesi dall’incaricato stesso;
  3. le credenziali di autenticazione sono disattivate dopo 6 mesi di non utilizzo;
  4. ciascun incaricato deve poter accedere ai soli dati necessari per il trattamento che deve effettuare;
  5. gli elaboratori devono essere dotati di programmi anti-intrusione aggiornati almeno ogni sei mesi;
  6. il salvataggio dei dati deve essere previsto con frequenza almeno settimanale.

Ricordiamo che le “misure minime” sono quelle la cui mancata osservanza comporta di per sé una violazione della normativa, con relativa sanzione, indipendentemente da eventuali danni. Ciò non esime il titolare del trattamento dei dati dall’obbligo di adottare qualsiasi altra ulteriore misura necessaria a proteggere i dati qualora se ne rilevasse l’opportunità. 

La conservazione dei farmaci stupefacenti

I farmaci stupefacenti, come qualunque altro medicinale, devono essere custoditi in modo da non essere accessibili a personale non autorizzato e in condizioni che ne garantiscano l’adeguata conservazione. Pertanto le strutture che ne fanno uso dovranno essere dotate di armadio chiudibile a chiave, che data la presenza di un mercato nero degli stupefacenti, dovrà, per doverosa diligenza, essere, per lo meno, blindato o rinforzato. La circolare Min. Sanità 2/2000, riferendosi alla Linea guida comunitaria CPMP/QWP609/96 prescrive, inoltre, l’obbligo di attenersi rigorosamente, nel trasporto e nella conservazione dei farmaci, alle indicazioni riportate in etichetta, anche per quanto riguarda le temperature. Se in etichetta non viene riportata alcuna indicazione per la temperatura si intende che il farmaco è stabile per 6 mesi a 40° C (+/-2) e al 75% (+/- 5%) di umidità relativa che, nel 1996, erano i parametri osservati nelle zone climatiche dei paesi dell’Unione Europea. La buprenorfina deve essere conservata a temperatura non superiore a 30° C. Per il metadone invece il produttore indica solo la necessità di mantenere il farmaco lontano da fonti di calore (limite di 40°). Negli ultimi anni tuttavia si sono registrate, in Italia e in Europa, temperature fino a 48° C. E’ pertanto opportuno che, nelle zone soggette a tali escursioni termiche, i farmaci vengano conservati in locali climatizzati. In ogni caso, dovrebbe essere utilizzato un termometro che consenta il controllo della temperatura, anche durante il trasporto. I pazienti che ricevono tali farmaci per la terapia dovranno ricevere opportune indicazioni in particolare rispetto al trasporto in autoveicoli non climatizzati. L’infermiere provvederà a controllare periodicamente la scadenza e a immagazzinare il farmaco disponendo le scatole in ordine di scadenza.

“Somministrazione” del farmaco all’interno delle Unità Operative

Le procedure per la somministrazione di farmaci stupefacenti devono, in primo luogo ridurre al minimo la possibilità di errori. A questo proposito ogni singolo servizio dovrà prevedere la propria particolare organizzazione, possibilmente descrivendola per iscritto. In linea di massima, meno operazioni vengono assegnate all’infermiere meno errori si commettono. Pertanto si potrà disporre, per esempio, che l’addetto alla “somministrazione” non venga gravato da altre incombenze come quella di rispondere al telefono o di fornire informazioni a persone diverse dai pazienti in trattamento. E’ consigliabile che il farmaco sia sempre consegnato nella confezione integra al paziente che provvederà poi, nel caso di assunzione supervisionata, ad assumerlo in presenza dell’operatore. Osserviamo, a questo proposito, che il termine “somministrazione” entrato nell’uso dei SERT per antichi motivi ideologici, non corrisponde, in realtà, a quanto effettivamente avviene. Il paziente infatti non viene “imboccato” dall’infermiere ma, piuttosto, assume il medicinale in sua presenza come si verifica per altre terapie supervisionate. Tale prassi non risponde, peraltro, a nessun specifico dettato legislativo, come si è detto in altra nota. In ogni caso l’assunzione in presenza di personale infermieristico comporta, a differenza di quanto avviene in farmacia (dove il farmacista controlla solo la ricetta e l’esterno della confezione) il controllo, oltre che della corrispondenza tra quanto prescritto e quanto erogato, anche del contenuto della preparazione. Non raramente, infatti, si sono riscontrate anomalie o nel volume o nel contenuto del medicinale. In tali casi la confezione anomala deve essere trattenuta. In particolare, nel caso di rinvenimento di corpi estranei, la procedura dovrà essere quella indicata dal D. Min. Sanità 27-2-2001. In tale decreto si dispone che “gli operatori sanitari che rilevano la presenza di corpi estranei o difetti in un medicinale, o che ricevono una segnalazione in tal senso da parte di un privato cittadino, devono, innanzitutto salvaguardare l’integrità del confezionamento del prodotto medesimo ovvero, nel caso quest’ultimo sia stato manomesso per l’impiego, operare una chiusura provvisoria che assicuri la conservazione del prodotto nello stato di fatto in cui è stato rilevato”. Gli stessi operatori sanitari devono poi immediatamente comunicare il fatto al Dipartimento per la Valutazione dei Medicinali e la Farmacovigilanza del Ministero della Salute tramite apposito modulo e, successivamente, devono conferire il prodotto allo stesso Ministero. La prescrizione del dosaggio da parte del medico deve avvenire, di regola, per iscritto, anche se la prescrizione può riguardare, oltre che il singolo dosaggio anche il ritmo e le condizioni di variazione (per esempio: “in caso di positività della morfinuria aumentare di 5/cinque, milligrammi, in caso di negatività dose invariata”). Le prescrizioni verbali o telefoniche dovrebbero rappresentare l’eccezione, dovrebbero essere giustificate da urgente necessità e dovrebbero essere immediatamente segnalate in cartella dall’infermiere in attesa della controfirma del medico. Richiedono, in ogni caso un alto livello di reciproca fiducia tra i sanitari dato che, in caso di errori o fraintendimenti, con conseguenti danni, né il medico né l’infermiere sarebbero in grado di documentare cosa effettivamente è stato prescritto e potrebbero essere chiamati entrambi a rispondere di negligenza. I maggiori problemi lamentati dai cittadini rispetto alle procedure adottate negli ambulatori farmacologici dei SERT si riferiscono, oltre alla spesso singolare interpretazione delle norme igieniche, alla violazione delle normative deontologiche e legislative sulla riservatezza. A questo proposito, la procedura dovrà uniformarsi, come minimo, alle misure previste dall’art. 83 comma 2 D. Lgs 196 /2003 che impone una serie di misure per tutelare la riservatezza del paziente nelle strutture sanitarie. In particolare il comma 2 dispone, tra l’altro:

  • il divieto di chiamare pubblicamente per nome le persone in attesa di prestazioni;
  • l’istituzione di distanze di cortesia in caso di file;
  • l’obbligo di impedire che terzi ascoltino colloqui;
  • il divieto di effettuare prestazioni sanitarie in condizioni di promiscuità;
  • il rispetto della dignità dell’interessato in occasione della prestazione medica;
  • la messa in atto di procedure che impediscano ad estranei di correlare la frequenza a reparti o ambulatori con specifiche patologie.

Peraltro, il Garante per la protezione dei dati personali, in seguito a “reclami e segnalazioni con i quali si rappresentava che alcune strutture sanitarie, nell’erogare prestazioni e servizi per finalità di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, non rispetterebbero le garanzie previste dalla legge a tutela, in particolare, della dignità e della riservatezza delle persone interessate” con suo provvedimento 9 novembre 2005 “Strutture sanitarie: rispetto della dignità”  ribadiva che “le misure organizzative in esame devono essere adottate per espresso obbligo di legge da tutti gli organismi sanitari, sia pubblici (es. aziende sanitarie territoriali, aziende ospedaliere), sia privati (es. case di cura)” e che, tra l’altro, gli organismi sanitari pubblici e privati, in qualità di titolari del trattamento dei dati personali, devono garantire il rispetto dei principi, per quanto pertinenti, che di seguito riportiamo testualmente.

  • “a) dignità dell’interessato (art.83,comma 2, lett e del Codice). La prestazione medica e ogni operazione di trattamento di dati personali deve avvenire nel pieno rispetto della dignità dell’interessato (artt.2 e 83 del Codice). La tutela della dignità personale deve essere garantita nei confronti di tutti i soggetti cui viene erogata una prestazione sanitaria, con particolare riguardo a fasce deboli quali i disabili, fisici e psichici, i minori, gli anziani e i soggetti che versano in condizioni di disagio o bisogno.” (omissis)
  • “b) Riservatezza nei colloqui e nelle prestazioni sanitarie (art. 83, comma 2, lett. c e d). “É doveroso adottare idonee cautele in relazione allo svolgimento di colloqui, specie con il personale sanitario (ad es. in occasione di prescrizioni o di certificazioni mediche), per evitare che in tali occasioni le informazioni sulla salute dell’interessato possano essere conosciute da terzi. Le medesime cautele vanno adottate nei casi di raccolta della documentazione di anamnesi, qualora avvenga in situazioni di promiscuità derivanti dai locali o dalle modalità utilizzate.” (omissis)
  • “e) Distanza di cortesia (art. 83, comma 2, lett. b). “Le strutture sanitarie devono predisporre apposite distanze di cortesia in tutti i casi in cui si effettua il trattamento di dati sanitari (es. operazioni di sportello, acquisizione di informazioni sullo stato di salute), nel rispetto dei canoni di confidenzialità e della riservatezza dell’interessato.” (omissis)
  • “f) Ordine di precedenza e di chiamata (art. 83, comma 2, lett. a). “All’interno dei locali di strutture sanitarie, nell’erogare prestazioni sanitarie o espletando adempimenti amministrativi che richiedono un periodo di attesa (ad es., in caso di analisi cliniche), devono essere adottate soluzioni che prevedano un ordine di precedenza e di chiamata degli interessati che prescinda dalla loro individuazione nominativa (ad es., attribuendo loro un codice numerico o alfanumerico fornito al momento della prenotazione o dell’accettazione). Ovviamente, tale misura non deve essere applicata durante i colloqui tra l’interessato e il personale medico o amministrativo.” (omissis)
  • “g) correlazione fra paziente e reparto o struttura (art. 83, comma 2, lett. h).“Gli organismi sanitari devono mettere in atto specifiche procedure, anche di formazione del personale, per prevenire che soggetti estranei possano evincere in modo esplicito l’esistenza di uno stato di salute del paziente attraverso la semplice correlazione tra la sua identità e l’indicazione della struttura o del reparto presso cui si è recato o è stato ricoverato.”

Da tutto ciò si evince che le organizzazioni e le procedure che prevedono, per esempio, la somministrazione di farmaci contemporaneamente a più pazienti nello stesso locale, l’attesa in sale promiscue con altri servizi sociali o sanitari, la chiamata nominale degli interessati e l’indicazione sulla porta del tipo di struttura, l’esecuzione di prelievi urinari con porte aperte sono illegittime e sanzionabili. Il direttore della struttura dovrà quindi provvedere a dare le disposizioni necessarie per evitare tali violazioni. Un problema spesso ricorrente negli ambulatori dei Ser.T. è quello dei pazienti che si presentano fuori orario. In linea di massima, se il servizio risulta ancora aperto, non è mai legittimo rifiutare una terapia medica ad una persona che ne ha necessità, per l’unico motivo che si presenta in ritardo.  Per analogia, ciascuno di noi sa che, se si rivolge ad una farmacia dopo le ore 19,30, ma la saracinesca non è ancora abbassata, il farmacista spedirà la ricetta. Le somministrazioni fuori orario ad un paziente ritardatario, d’altronde, determinano per il principio della parità di trattamento che informa il comportamento della pubblica amministrazione, il diritto di chiunque altro a presentarsi altrettanto in ritardo, ricevendo lo stesso trattamento e ciò determina, quasi sempre, disservizi in altre attività infermieristiche o illegittima dilatazione dell’orario di lavoro. L’unico modo di evitare tali problemi (e il contenzioso ad essi inevitabilmente collegato) è che l’infermeria (che può essere anche costituita da un locale del SERT opportunamente identificato da una targa) apra e chiuda materialmente i battenti all’orario previsto, lasciando da parte solo il farmaco da consegnare o somministrare ai pazienti che abbiano appuntamenti con gli infermieri o con altri sanitari in altro orario. Un altro provvedimento per evitare inutili problemi è quello di affidare sempre al paziente il farmaco anche per il giorno di somministrazione: se costui si presenterà puntuale assumerà il farmaco davanti all’infermiere. Se, per qualche motivo, non riuscirà a presentarsi in tempo assumerà il farmaco a domicilio ed effettuerà l’assunzione supervisionata presso il servizio il giorno successivo.

Procedure per la sicurezza

Nelle sedi dei SERT sono spesso presenti guardie giurate, porte d’ingresso chiuse a chiave, spioncini o telecamere. Tali misure sono giustificate con la necessità di garantire la sicurezza del personale. In realtà non c’è alcuna prova che i servizi così organizzati registrino meno incidenti di quelli che adottano procedure a misura di cittadino e non a misura di criminale. Per nostra ultraventennale esperienza, ma anche per quanto emerge dagli studi criminologici e di psicologia sociale, ciò che garantisce il rispetto della legge, e quindi anche la sicurezza, è la certezza che, in quel tale contesto, tutte leggi senza alcuna eccezione od arbitrio, verranno sempre applicate, sia che tutelino il personale sia che tutelino il cittadino-paziente. In primo luogo, quindi, il responsabile della struttura dovrebbe esporre le regole che ritiene necessario richiamare in base al contesto in cui si opera, distinguendo con chiarezza ciò che discende dalla legge (per esempio il divieto di fumo o l’obbligo di denuncia in caso di reato perseguibile d’ufficio commesso all’interno o nei dintorni del servizio) e ciò che dipende da misure organizzative (per esempio la dislocazione dei pazienti in attesa). Inoltre, se si vuole evitare che i conflitti esplodano in forme illegittime, è indispensabile informare l’utenza di come esplicitarli in forme legittime. Dovrà quindi essere disponibile, in ogni sede, il prescritto modulo per i reclami e il recapito dell’Ufficio Pubblica Tutela. E’ anche opportuno che i pazienti vengano adeguatamente informati sull’esistenza di associazioni per i diritti del malato o del cittadino a cui rivolgersi ogni qualvolta lo ritengano opportuno. Il personale, da parte sua, dovrà tenere presente che i servizi pubblici sono “al servizio del pubblico” e quindi sottoposti a valutazioni anche negative e, occasionalmente, ingiuste ma sempre legittime. In caso di incidenti di rilevanza penale la denuncia andrà sempre fatta senza alcuna discrezionalità sia perché ciò è imposto dall’art. 331 del Codice di Procedura Penale (CPP) agli incaricati di pubblico servizio sia perché, diversamente, l’operatore si arrogherebbe il diritto di decidere se il comportamento rilevato merita o no una sanzione sostituendosi al magistrato. Tale atteggiamento non solo configura di per sé il reato di omessa denuncia (artt. 361 e 362 Codice Penale) ma è estremamente pericoloso perché dimostra ad eventuali malintenzionati che la procedura applicata dipende dall’operatore (che quindi ne diviene “colpevole”) e non dalla legge. Ciò premesso, qualora si decidesse di utilizzare misure di controllo extra-sanitarie, come le guardie giurate o le telecamere, ci si dovrà accertare che ciò avvenga nel rispetto delle norme previste dal D. Lgs. 196/2003 e dei successivi provvedimenti del Garante. Pertanto le guardie giurate dovranno rimanere all’esterno dei locali dove si svolgono atti sanitari, si dovranno prendere tutte le precauzioni per evitare che vengano a conoscenza delle generalità dei cittadini utenti, dovranno essere informate delle disposizioni di legge in materia di privacy. L’uso di videocamere è stato oggetto di uno specifico “Provvedimento in materia di videosorveglianza”, 8 aprile 2010, da parte del Garante. Tale provvedimento si occupa specificamente di “Ospedali e luoghi di cura” al punto 4.2 limitando “l’eventuale controllo di ambienti sanitari (…) ai casi  di comprovata indispensabilità, derivante da specifiche esigenze di cura e tutela della salute degli interessati”  pena l’applicazione di sanzioni amministrative. Solo in seguito, con Provvedimento 15 maggio 2013 n. 243, il Garante autorizzava l’uso di videocamere per la raccolta di campioni di urine se indispensabili a fini certificatori e clinici (ovviamente da dimostrare) a condizione che: all’interessato sia data facoltà di scelta tra registrazione ed osservazione diretta; le immagini non siano registrabili; il servizio igienico sia adibito in via esclusiva a tali controlli;  l’abilitazione a visionare le immagini sia riservata a personale sanitario incaricato per iscritto, preferibilmente dello stesso sesso delle persone controllate.

Procedure per l’affidamento del farmaco

L’affidamento di oppiacei per la terapia delle dipendenze è espressamente previsto dall’articolo 43 del TU 309/90 che, come si è detto, recita testualmente (comma 5)La persona alla quale sono consegnati in affidamento i medicinali di cui al presente comma e’ tenuta ad esibire a richiesta la prescrizione medica o il piano terapeutico in suo possesso”. Da ciò si evince che chiunque sia considerabile una “persona”, e non rientri in condizioni che altre disposizioni di pari rango considerano incompatibili con la consegna di farmaci, può ritirare la terapia, come, peraltro, confermato anche dalla nota del Ministero della Salute 19/04/2006 prot. DGFDM/VIII/P/C.l.a.c./14480 e, successivamente, dal Decreto Ministero della Salute 16 novembre 2007 “Consegna dei medicinali per il trattamento degli stati di tossicodipendenza da oppiacei da parte delle strutture pubbliche o private autorizzate ai pazienti in trattamento“ (art. 1 comma 4). Il farmaco può quindi essere consegnato o all’interessato o, anche, sempre che non sussista la necessità di diretti controlli clinici, ad una persona da lui stesso delegata per iscritto, ivi compresi gli operatori di comunità terapeutiche (art. 1 comma 5 e art. 2 comma 6 del citato decreto) nel rispetto delle disposizioni del D. Lgs. 196/2003, concernente la riservatezza dei dati sensibili.  In quest’ultimo caso, in analogia a quanto disposto dalla citata nota ministeriale 19/04/2006, la persona dovrà essere identificata con l’annotazione in cartella degli estremi di un documento di identità. L’art. 1, comma 5, del Decreto Ministero della Salute 16-11-2007 dispone, inoltre, che l’impedimento dichiarato dal paziente a presentarsi in servizio sia “dimostrato da opportuna certificazione scritta”. Osserviamo, a questo proposito che il termine, “certificazione” sembra presupporre che l’unico impedimento per raggiungere il servizio sia una malattia. Ciò, naturalmente, non corrisponde al vero: la necessità di sostenere un esame universitario fuori sede che si prolunga oltre il previsto, la presenza di una perdita idraulica in casa propria, la convocazione urgente nella scuola frequentata dai figli, la necessità di fermarsi al lavoro oltre l’orario previsto sono tutte situazioni che non possono certo essere “certificate” “ai sensi delle norme di legge vigenti”. In questi casi, sembra opportuno richiedere all’interessato stesso una sorta di “autocertificazione” così come avviene per molte altre condizioni (per esempio nel caso di straniero irregolare che “autodichiara” il proprio stato di indigenza per usufruire gratuitamente di prestazioni sanitarie come da disposizione dell’art 43 comma 4 DPR 394/99). La legge, come già si è visto, vieta la consegna di sostanze stupefacenti a minori di età o a persone “manifestamente inferme di mente(art 44 T.U. 309/90). L’infermiere, quindi, anche più del farmacista, è tenuto ad osservare e rilevare eventuali segni di turbe mentali in atto chiedendo, se necessario, la valutazione da parte del medico. Osserviamo che l’espressione “manifestamente inferme di mente”, non si riferisce tanto a persone con diagnosi psichiatriche (come per esempio un individuo depresso in terapia) quanto a condizioni che diminuiscano con evidenza la capacità di giudizio, ivi compresi eventuali effetti di farmaci psicotropi. Non è pertanto necessario che il medico assista materialmente alla consegna del farmaco ma, in ogni caso, è indispensabile che sia reperibile su richiesta dell’infermiere. Costui, infatti, a differenza del farmacista, che valuta solo la conformità della ricetta, ha anche competenze cliniche ed è quindi tenuto, nel consegnare un farmaco, a tenere conto diligentemente delle condizioni del paziente, ferma restando la necessità di poter effettuare se ritenuta necessaria la valutazione medica.  L’intervento del medico, quindi, dovrà essere richiesto, per esempio, nel caso vengano riferite condizioni che possono interferire con la terapia metadonica come patologie intercorrenti, alterazioni dell’alvo, assunzione di farmaci o alimenti interferenti (succo di pompelmo). A questo proposito l’infermiere dovrà, egli per primo, mantenersi aggiornato su quanto continuamente emerge rispetto a farmacocinetica e farmacodinamica degli oppiacei provvedendo ad informare costantemente i pazienti o, anche, a rilevare e riportare le informazioni da loro fornite.  In base all’art. 43, comma 5 del TU chiunque detenga medicinali contenenti sostanze stupefacenti prescritti “con ricettario di cui al comma 1” dello stesso articolo deve disporre della prescrizione medica o di un piano terapeutico. Il piano terapeutico necessario per la prescrizione con ricettario deve essere predisposto come oltre illustrato. Nel caso invece di consegna diretta del farmaco al paziente da parte del servizio, benché il TU non contenga specifiche indicazioni, si rileva che l’art. 2, comma 4 del Decreto 16-11-2007 dichiara, in ciò discostandosi dalla legge, che il paziente o un suo delegato siano autorizzati al trasporto del farmaco se accompagnati dal piano terapeutico. Anche se la validità di questa disposizione è discutibile per il fatto che introduce una restrizione non prevista dalla legge, riteniamo che, anche per la sicurezza dell’interessato, sia comunque indispensabile documentare la terapia in corso con informazioni più dettagliate rispetto a quelle contenute in una semplice prescrizione. Ciò, a nostro giudizio, può essere certamente fatto utilizzando in tutti i casi il piano terapeutico (vedi più oltre) ma integrato con informazioni cliniche che tutelino il paziente in caso di necessità (esempio: ricovero d’urgenza all’estero).  Sembra perciò opportuno che il servizio appronti moduli, possibilmente bilingui, contenenti intestazione della struttura con indirizzo e numero di telefono, data, generalità del paziente, sigla SERT, farmaco prescritto, dosaggio, intervallo tra le dosi, e programma fino a 90 giorni (per esempio: “mantenimento” oppure “riduzione del dosaggio di 5/cinque milligrammi ogni 3/tre giorni” ecc.). La firma dovrà essere sempre del medico. Tutti i numeri andranno scritti in cifre e in lettere. Non è necessario che il documento venga rinnovato ogni volta ma, naturalmente, deve essere rinnovato ogni volta che intervengono variazioni e, in caso di piano terapeutico, almeno ogni 90 giorni.  Dati i problemi clinici che potrebbero insorgere a causa della tolleranza indotta a scopo terapeutico, inoltre, è opportuno che il modulo assuma il carattere di un certificato di trattamento in cui si forniscano le necessarie avvertenze rispetto alla necessità di non interrompere la terapia e alla tolleranza crociata con altri oppiacei. Le persone a cui vengono affidati stupefacenti, inoltre devono ricevere informazioni scritte sulla necessità di custodire il farmaco, in particolare sottraendolo alla portata di bambini, firmando dichiarazione di presa visione del foglietto illustrativo (art. 1,  comma 6 DM 16-11-2007) Le informazioni scritte, peraltro, devono sempre essere accompagnate da spiegazioni orali da parte dell’infermiere e del medico che devono accertarsi che il paziente o il suo delegato le abbiano perfettamente capite. Dato che, inoltre, i foglietti illustrativi non sono né sempre chiari né sempre aggiornati, ma il medico ha sempre l’obbligo di dare informazioni esaustive, potrebbe essere opportuno predisporre materiale divulgativo da tenere continuamente aggiornato.  In molti servizi è in uso la prassi di richiedere al paziente la restituzione dei flaconi vuoti. Tale abitudine non risponde a indicazioni di legge ma è un’utile precauzione per evitare usi impropri dei contenitori. Ciò, naturalmente, non giustifica il rifiuto della terapia qualora il paziente non restituisca quanto richiestogli. Nel caso ciò induca fondati sospetti su eventuali illeciti si potrà piuttosto segnalare al medico l’opportunità di rivedere l’affidamento del farmaco o di interessare le forze dell’ordine, uniche titolate a compiere indagini. Il segreto professionale, infatti, riguarda il paziente e paziente è chi si rivolge ad un medico per essere curato, non chi lo fa per trarlo in inganno a scopo criminale.  

Divieto di sconfezionare le specialità medicinali

Le specialità medicinali non possono essere sconfezionate, in quanto il produttore ne garantisce l’utilizzabilità senza rischi solo se la confezione è integra. Pertanto, come ha chiarito la Nota Min Sanità 20 aprile 2000 n. 800/UCS/AG1/2229, si dovrà consegnare al paziente, e scaricare sul registro, l’intera confezione (per esempio di Subutex o di Alcover ) anche nel caso che la quantità contenuta ecceda il limite temporale previsto dalla legge per la prescrizione (che all’epoca era di 8 giorni). La Circ. Min Sanità 20 giugno 2000 n. 800/UCS/AG1/3230 “Morfina nel trattamento del dolore dei pazienti terminali, interpretazione ed applicazione delle linee guida” ribadisce l’obbligo di non sconfezionare, e di scaricare l’intera confezione, anche per i reparti ospedalieri. Al paziente in dimissione deve essere consegnata una quantità di farmaco sufficiente “per coprire il periodo di tempo verosimilmente necessario per contattare il medico di base” o il servizio territoriale prescrittore. 

Osservazioni sul “confezionamento” di farmaci destinati all’uso domiciliare da parte di SERT/SMI

Un problema che, finora, si è riscontrato unicamente nei SERT è quello dell’affidamento ai pazienti di metadone sciroppo imbottigliato ed etichettato dagli infermieri del SERT. in flaconi di plastica e con tappi, che, in alcuni casi, vengono forniti non sigillati singolarmente e, addirittura, come abbiamo personalmente verificato in qualche caso, venivano utilizzati senza essere prima lavati. A questo proposito osserviamo che tali prassi dovrebbero essere considerate prima di tutto sotto l’aspetto igienico e poi sotto l’aspetto normativo.  Dal punto di vista igienico, anche se non sussiste una necessità assoluta (cioè analoga a quella dei farmaci assunti per via venosa) di garantire la sterilità dei farmaci assunti per via orale, è però universalmente riconosciuta la necessità di garantire la perfetta igiene di qualsiasi confezione contenente sostanze destinate ad essere ingerite. Ciò ha, per esempio, ispirato provvedimenti come quello della Regione Lombardia che vieta ai “bed and breakfast” di fornire per colazione alimenti non sigillati o come la direttiva europea, accolta dall’Italia, per cui negli esercizi pubblici l’acqua minerale debba essere venduta in bottigliette sigillate. Appare quindi perfettamente comprensibile la posizione dei cittadini che, in alcuni casi, si sono rifiutati di accettare dal Ser.T. quello che avrebbero avuto pieno diritto di rifiutare in un bar cioè la consegna di un prodotto tolto da un bottiglione e introdotto in bottigliette non sigillate prese da uno scatolone. Tale procedura, tra l’altro generalmente attuata senza mascherina e senza guanti, non garantiva, infatti, che il prodotto non venisse inquinato con germi patogeni (si pensi, per esempio, ad uno starnuto imprevisto durante il confezionamento o anche alle goccioline di floog in periodo di epidemia influenzale) o con corpi estranei (frammenti di smalto, ciglia o altro). Qualora, quindi, indipendentemente dal quadro normativo, si fosse deciso di consegnare stupefacenti in flaconi preparati nella sede del SERT, ciò avrebbe dovuto essere fatto con procedure che garantissero e documentassero l’igiene del prodotto che avrebbe dovuto quindi essere preparato indossando cuffia e mascherina, procedendo a frequente lavaggio delle mani e utilizzando contenitori estratti al momento da buste individuali sigillate. Qualunque negligenza in materia, essendo potenzialmente foriera di danni anche gravi (si pensi al paziente immunodepresso contagiato da TBC o influenza, malattie che non risparmiano certo gli operatori sanitari e che non vengono sempre diagnosticate tempestivamente) oltre a implicare, come sempre, la responsabilità del direttore della struttura coinvolgerebbe anche la responsabilità professionale dell’infermiere.  Ricordiamo infatti che, se la prescrizione di farmaci è esclusiva responsabilità del medico (e, quindi, su ordine scritto, l’infermiere è tenuto ad eseguirla anche se la ritiene personalmente controindicata), il rispetto delle norme igieniche nella somministrazione è materia di specifica competenza infermieristica, oltre che medica. Il D. Min. San. 739/1994, infatti, attribuisce all’infermiere 1) la responsabilità “dell’assistenza generale infermieristica” (art.1, comma 1), 2) “la prevenzione delle malattie(comma 2), 3) “l’identificazione dei bisogni di salute della persona e della collettività” (comma 3), 4) “la pianificazione, gestione e valutazione dell’intervento assistenziale infermieristico” (comma 3), 5) l’obbligo di garantire “la corretta applicazione delle prescrizioni diagnostico-terapeutiche” (comma 3). Tali attività si svolgono “con autonomia professionale” (legge 251/2000, art. 1) e, quindi, con piena responsabilità.  Per quanto riguarda gli aspetti più strettamente normativi, invece, l’art. 1 comma 4 del citato DM 16-11-2007 conferma che “è consentita la consegna di medicinali (omissis) in confezioni regolarmente autorizzate” con ciò intendendosi evidentemente la regolare autorizzazione ministeriale all’immissione in commercio   con esclusione di qualsiasi soluzione “fai da te”. Una interpretazione alternativa, per quanto, a nostro giudizio, improbabile, potrebbe essere l’assimilazione del medicinale ai preparati magistrali. Ciò in base a un’interpretazione “estensiva” del Decreto Min. Salute, 18 novembre 2003 “Procedure di allestimento dei preparati magistrali e officinali che assimila ai preparati magistrali “anche tutte le miscelazioni, diluizioni, ripartizioni, ecc, eseguite per il singolo paziente su indicazione medica (articolo 2)”. Considerando quanto, di fatto, avverrebbe nei SERT che continuassero a confezionare direttamente le dosi da consegnare ai pazienti osserviamo che, in genere, la preparazione veniva fatta da un infermiere che digitava su apposito strumento il nome del paziente. La macchina provvedeva ad emettere i dosaggi programmati che venivano erogati nei flaconi, spesso non singolarmente sigillati, poi tappati con tappi antibambino, pure non singolarmente sigillati. Infine, su quello che tecnicamente dovremmo chiamare, in termini farmaceutici, “condizionamento primario” veniva, in genere, apposta un’etichetta, stampata dalla macchina, con nome e cognome del paziente, quantità, tipo di farmaco e concentrazione, numero del flacone, periodo del trattamento domiciliare, data dell’affidamento, numero del medico di turno e dicitura “tenere fuori della portata dei bambini”. Non risultava però, sempre identificabile l’operatore che aveva materialmente preparata la confezione. Al di là di ogni artificio verbale, non ci pare sussistano dubbi sul fatto che quello che realmente avveniva non era una semplice somministrazione con la consegna di poche dosi in attesa dell’apertura della farmacia o dell’ambulatorio del medico di base ma una vero e proprio processo di confezione, ri-etichettamento e dispensazione di farmaci. Osserviamo che, nel nostro ordinamento tutto ciò sembra rientrare nelle competenze del farmacista, unica figura che dispone delle conoscenze tecniche, scientifiche e legali per la farmaceutica. In effetti gli articoli 6 e 7 del Codice Deontologico dei Farmacisti definiscono come prerogativa esclusiva del farmacista la dispensazione di farmaci e impegnano i farmacisti (art 32) che esercitano in strutture pubbliche a vigilare a che “la dispensazione del farmaco venga effettuata soltanto da farmacisti”. La distribuzione di metadone da parte di infermieri del Ser.T. ha, per certi aspetti, il carattere della somministrazione: infatti, l’infermiere controlla il paziente ed eventualmente chiede l’intervento del medico, mentre, come si è già detto, il farmacista è tenuto solo a controllare la ricetta e a non consegnare stupefacenti a “persone minori o manifestamente inferme di mente”.   Tanto che, in caso di pazienti allettati, consegna il farmaco a terzi delegati dall’interessato senza nemmeno averlo mai visto. Rimane però il fatto che il codice deontologico di una professione, che si esercita solo dopo superamento di un esame di stato, stabilisce una competenza esclusiva su alcuni aspetti della gestione dei farmaci, presupponendo, come si è detto, una serie di competenze e conoscenze che non fanno parte del bagaglio culturale e professionale degli infermieri e, per la verità, nemmeno dei medici. A nostro giudizio, l’eventuale affidamento di flaconi, preparati dalla farmacia interna, secondo le Norme per la buona preparazione dei medicinali in farmacia “, FU XI non comporterebbe particolari problemi ma l’allestimento e l’etichettatura della confezione, previo sconfezionamento del prodotto industriale, direttamente da parte dell’infermiere o del medico del SERT non trova riscontro nella normativa vigente e sembra espressamente escluso dal citato DM 16-11-2007. Peraltro osserviamo che tali norme non sono semplici obblighi burocratici ma attengono alla sicurezza dei cittadini che non può certo essere considerata in maniera diversa solo perché sulla porta c’è scritto “SERT” e non “farmacia”. Il citato Decreto Ministeriale  18-11-2003, per esempio, dispone quanto segue per le preparazioni magistrali:

  • il titolare di farmacia o il direttore responsabile “redige e consegna adeguate istruzioni per la pulizia del laboratorio e delle attrezzature utilizzate sia per quanto riguarda le modalità operative che la frequenza di intervento.” (art 3)
  • “Il laboratorio della farmacia deve essere adeguato ad assicurare le corrette operazioni di preparazione, confezionamento, etichettatura e controllo dei medicinali. L’area destinata alla preparazione deve essere separata “od, anche, può essere un’area di lavoro non separata o non separabile da altro locale della farmacia. Nell’area di lavoro, non separata o non separabile da altro locale della farmacia, le preparazioni devono essere effettuate durante l’orario di chiusura, fatti salvi i casi di urgenza nei quali l’attività di preparazione dei medicinali puo’ avvenire durante l’apertura della farmacia. In tali ipotesi l’accesso alla zona di lavoro deve essere controllato e riservato al personale addetto al compito di preparazione dei medicinali. Nel caso in cui il laboratorio sia allestito in un locale separato, le preparazioni possono essere eseguite durante l’orario di lavoro e l’accesso al laboratorio durante la preparazione e’ vietato al personale non addetto. L’area destinata a laboratorio deve avere pareti e soffitti lavabili.Non sono indispensabili rivestimenti particolari ma è sufficiente l’utilizzo di pitture che supportino il lavaggio.” (art 4)
  • “ Gli strumenti di misura devono essere periodicamente e regolarmente verificati ai sensi del decreto legislativo 29 dicembre 1992, n. 517, e successive modificazioni.” (art 5)
  • “Il farmacista deve preparare l’etichetta indicandovi: (omissis) b) il nome del medico (non obbligatorio nel caso di preparazione officinale); (omissis) f) la data limite di utilizzazione; (omissis) h) le avvertenze d’uso; i) le precauzioni. Nell’ipotesi di mancanza di spazio sull’etichetta, il farmacista puo’ apporre le «avvertenze d’uso» e le «precauzioni» su una seconda etichetta oppure allegarle alla preparazione su un foglio a parte.” (art 10)

Le “Norme di buona preparazione dei medicinali in farmacia”  (testo della Farmacopea Ufficiale XI), inoltre, prevedono una serie di procedure “a salvaguardia della salute del paziente” che, ancora una volta, non possono certo cambiare solo in base al cartello esposto fuori dal luogo di preparazione o al modo in cui si è chiamare la manipolazione di medicinali. Citiamo: la responsabilità di ciascuna preparazione affidata ad un farmacista, l’attribuzione per iscritto di compiti e responsabilità, l’adozione di misure preventive per mantenere il luogo della preparazione libero da ogni infestazione, la documentazione dell’idoneità dei locali e della manutenzione periodica. In particolare (punto 9.1) “il contenitore primario deve essere pulito prima dell’utilizzazione secondo un programma che preveda anche il risciacquo con acqua ionizzata, l’asciugatura e, se richiesto, la disinfezione e l’eventuale sterilizzazione”.  Da quanto sopra esposto non si può non rilevare la distanza tra il dettato del decreto e quanto effettivamente avviene in alcuni SERT.  Per quanto riguarda le norme a garanzia della sicurezza del paziente segnaliamo anche il D. Lgs. N. 540 del 30 dicembre 1992 in attuazione della Direttiva 92/27/CEE concernente l’etichettatura dei medicinali per uso umano di cui riportiamo testualmente alcuni articoli:

“Art. 2. 1. L’imballaggio esterno o, in mancanza dello stesso, il condizionamento primario di qualsiasi medicinale deve recare le indicazioni seguenti: (omissis)  

g) eventuali avvertenze speciali ritenute necessarie per il medicinale in questione;

h) il mese e l’anno di scadenza, indicati con parole o numeri;

i) all’occorrenza, le precauzioni particolari da prendere per la conservazione del medicinale;

l) se necessarie, le precauzioni particolari da prendere per l’eliminazione del prodotto non utilizzato o dei rifiuti derivati dal prodotto; (omissis)

Art. 5. Foglio illustrativo.

  1. Nel condizionamento di qualsiasi medicinale deve essere incluso un foglio illustrativo destinato all’utilizzatore, fatto salvo il caso in cui tutte le informazioni richieste dal comma 2 figurino direttamente sull’imballaggio esterno o sul condizionamento primario.
  2. Il foglio illustrativo, deve contenere (omissis) nell’ordine (omissis) a) la categoria farmacoterapeutica, o il tipo di attività, in termini facilmente comprensibili per il paziente; (omissis)

b) le indicazioni terapeutiche;

c) le informazioni che devono essere conosciute prima dell’uso del medicinale:

1) controindicazioni;

2) opportune precauzioni d’impiego;

3) interazioni con altri medicinali e interazioni di qualsiasi altro genere (ad esempio con alcool, tabacco, cibi), potenzialmente in grado d’influenzare l’azione del medicinale;

4) avvertenze speciali; in particolare, se del caso, avvertenze sui possibili effetti del trattamento sulla capacità di guidare un veicolo o di azionare determinate macchine;

5) all’occorrenza, modalità di intervento in caso di dose eccessiva (ad esempio: sintomi, interventi urgenti);

6) se necessario, condotta da seguire nel caso in cui sia stata omessa la somministrazione di una o più dosi;

7) eventuale indicazione del rischio di una sindrome di astinenza;

e) una descrizione degli effetti indesiderati che si possono osservare nel corso dell’impiego normale del medicinale, con indicazione, all’occorrenza, delle contromisure da prendere; in ogni caso il paziente deve essere espressamente invitato a comunicare al suo medico o al suo farmacista qualsiasi effetto indesiderato non descritto nel foglio illustrativo;

f) un rinvio alla data di scadenza che figura sull’imballaggio, corredato di:

1) un’avvertenza contro qualsiasi superamento di tale data;

2) all’occorrenza, le precauzioni speciali da prendere per la conservazione del medicinale;

Art. 7. Tassatività delle indicazioni.

  1. Il Ministero della sanità non può approvare etichette e fogli illustrativi di medicinali per uso umano contenenti diciture diverse da quelle previste dal presente decreto, fatta eccezione per quelle imposte da altre disposizioni legislative o regolamentari.
  2. Con decreto del Ministro della sanità possono essere stabilite, per determinate categorie di prodotti, deroghe alle disposizioni degli articoli da 2 a 6 del presente decreto; possono, inoltre, essere emanate disposizioni sull’etichettatura e sul foglio illustrativo di confezioni ospedaliere contenenti un quantitativo di prodotto multiplo di quello contenuto nelle confezioni di cui è autorizzato il commercio al pubblico. “

Indipendentemente dall’utilizzo di confezioni ospedaliere, la consegna ad un paziente di un medicinale per terapia a domicilio, in più di una dose, con la sola avvertenza “tenere fuori dalla portata dei bambini”, pone a nostro giudizio, problemi di sicurezza, tanto più che la forma farmaceutica è quella dello sciroppo alla frutta. Tutto ciò considerato, riteniamo che, sebbene relativamente diffuse in passato e apparentemente legittimate dalla produzione e vendita di distributori automatici computerizzati, le procedure che prevedono la consegna a pazienti di confezioni estemporaneamente allestite dagli infermieri dei SERT siano, in primo luogo, rischiose dal punto di vista della sicurezza del paziente. Inoltre il riferimento a “confezioni regolarmente autorizzate” di cui al citato art 1 comma 4 del DM 16-11-2007 non può che rimandare all’art. 6, comma 2 del D. Lgs.n.219/2006 (in attuazione Direttiva 2001/83/CE) che esclude esplicitamente la possibilità di allestire preparati medicinali discostandosi, per dosaggio, forma farmaceutica, via di somministrazione e presentazione di qualsiasi medicinale da quanto stabilito dall’autorizzazione all’immissione in commercio. Peraltro, dato che esistono formulazioni industriali in qualsiasi posologia e, per di più, il metadone rimane tuttora un farmaco di fascia A (quindi obbligatoriamente disponibile in farmacia) tali scelte sembrano difficilmente giustificabili con motivi organizzativi o per mancanza di alternative. La decisione da parte dei responsabili medici e da parte del personale infermieristico di non adeguarsi immediatamente al dettato normativo dovrebbe pertanto, a nostro avviso, tener conto degli elementi sopra esposti anche perché in caso di errori o incidenti, quasi certamente gli stessi verrebbero considerati molto attentamente dagli avvocati delle eventuali vittime. 

Trasporto del farmaco da parte del personale delle Unità Operative

Il T.U. 309/1990 regola, all’art. 41, la questione del trasporto di stupefacenti da parte di enti o imprese commerciali. Tale articolo prevedeva, nella versione originale, che la consegna dovesse essere fatta, da qualunque dipendente, personalmente all’intestatario o al farmacista debitamente identificato e che potesse avvenire anche con pacco postale assicurato o tramite agenzia di trasporto o corriere privato. Solo in quest’ultimo caso, e per quantitativi superiori a 100 grammi, il trasporto deve essere effettuato previa comunicazione a polizia, carabinieri o guardia di finanza. Nulla diceva la legge su medici, infermieri, pazienti e loro famigliari che, infatti, fino al 2001, hanno sempre trasportato stupefacenti correlati ai loro compiti o necessità senza alcuna autorizzazione. Con la legge 12/2001 (modifica del TU 309/1990) il Parlamento incorse in una inspiegabile svista. Con l’intenzione dichiarata di semplificare le procedure per medici e pazienti emendò l’art. 41 invece dell’art. 43, inserendo, dopo il comma 1, il comma 1 bis che “consente” ciò che mai era stato vietato cioè la consegna di stupefacenti per quantità terapeutiche da parte di operatori sanitari, purché con dichiarazione sottoscritta dal medico di base, di continuità assistenziale o ospedaliero. Da questa “autorizzazione” era però esplicitamente escluso “il trattamento domiciliare degli stati di tossicodipendenza” per i quali quindi rimaneva in vigore la precedente legislazione (cioè non occorreva alcun permesso).  Questa interpretazione fu confermata dal ministero, su sollecitazione degli Ordini dei Medici e delle società scientifiche, con circolare 8 giugno 2001 n. 9 che concludeva ”conseguentemente nulla è innovato per quanto riguarda il trattamento erogato in assistenza domiciliare ai pazienti tossicodipendenti”.  Le successive ulteriori modifiche del TU lasciarono invariato tale articolo ma introdussero, al comma 5, che prevede espressamente l’affido per la terapia domiciliare a soggetti tossicodipendenti, l’obbligo di dotare la persona a cui i medicinali vengono consegnati di “prescrizione medica o piano terapeutico”.  Pertanto sia gli interessati o i loro delegati, sia il personale delle Unità Operative sono tenuti a portare con sé tale documentazione qualora movimentino stupefacenti destinati alla terapia domiciliare. Tale interpretazione è confermata dalla circolare Min. Salute 29 marzo 2006 prot DGFDM/VII/PF.1.aa/12064 che richiama la citata circolare 9/2001.

Procedure per il trasferimento ad altre strutture

 Il trasferimento di un paziente da un servizio all’altro impone una certificazione di trattamento. Il medico “ricevente” infatti farà la prescrizione sotto la propria responsabilità (e, naturalmente, dopo aver valutato il paziente per verificare che non siano insorte controindicazioni) sulla base di quanto certificato da un collega. Quindi questo certificato può essere redatto solo da un medico e non da un infermiere. L’assunzione del farmaco in altra sede dello stesso servizio, invece, può avvenire considerando valida la prescrizione fatta dal medico inviante che può anche essere un piano terapeutico che verrà attuato dall’infermiere (per esempio: il medico scrive che il paziente ridurrà il dosaggio di 5/cinque mg alla settimana e l’infermiere procede alla variazione salvo che rilevi la necessità di nuova valutazione medica). In questo caso il passaggio di informazioni può anche avvenire tra un infermiere e l’altro, così come ci si passa la consegna, con la formula: “in base alla prescrizione effettuata dal dottor (nome) in data (data) il signor (generalità) assume (farmaco e posologia) con affidamento (modalità) chiede di potere assumere la terapia presso la nostra sede di (sede) nei giorni (date)”. La prassi di trasferire i pazienti da un SERT all’altro mediante fax deve tenere conto del diritto alla riservatezza oltre che della possibilità di errori di invio. La maggior parte dei fax disponibili nelle ASL italiane non sono criptabili e, in più, date le differenze di orario tra i vari servizi, spesso, al momento dell’arrivo, non è presente il personale sanitario a cui sono destinati. In questi casi, dati sensibili riguardanti i cittadini potrebbero addirittura divenire noti al personale addetto alle pulizie. Non c’è inoltre modo per escludere che i fax risultino illeggibili o che si verifichi un incidente come quello in cui, per esempio, è incorsa il 7 agosto del 2004 la Questura di Siena (e con lei l’Italia) che, per cause non note, inviò involontariamente via fax ai giornali il piano di sicurezza per la visita del primo ministro inglese. Il fax, quindi, non andrebbe utilizzato per comunicazioni che contengono dati sensibili.

Procedure per il pagamento delle prestazioni a cittadini di altre regioni

Al momento in cui scriviamo (novembre 2014) non ci risulta alcun accordo interregionale per eventuali compensazioni economiche dovute per pazienti trasferiti da una regione all’altra. Supponiamo ciò sia dovuto al fatto che le prestazioni relative alle tossicodipendenze fanno tuttora riferimento al T.U. 309/1990. Il citato art. 120, infatti, prevede il diritto di “chiunque” faccia uso non terapeutico di sostanze “stupefacenti o psicotrope”, indipendentemente da ogni requisito di residenza, cittadinanza o iscrizione al sistema sanitario, e anche senza essere identificato, a chiedere accertamenti e trattamenti per le tossicodipendenze. A riprova di ciò il trattamento con farmaci sostitutivi viene garantito persino a stranieri irregolari la cui presenza sul territorio nazionale è tuttora un illecito penale. Pertanto, a tutt’oggi, non appare giustificata la richiesta di alcune regioni di ricevere somme da altre per le prestazioni effettuate ai loro cittadini in trasferta mentre appare logico l’eventuale rifiuto dello SMI (cioè del cosiddetto Ser.T. privato) di erogare prestazioni a persone per cui non è garantito il pagamento. Lo SMI, infatti, alla pari, per esempio di un medico di base, pur esercitando un’attività sanitaria e una funzione pubblica è pur sempre titolare di un’attività economica privata, che, come tale, deve essere retribuita. 

Prescrizone da parte di singoli medici non appartenenti ai Servizi Tossicodipendenze (SERT/SMI) 

La prescrizione da parte di singoli medici di sostanze stupefacenti per la terapia degli stati di tossicodipendenza è prevista dall’art. 4, comma 5 del TU. In nessun punto la legge limita la facoltà di prescrizione ai soli medici di base. Il D. Min Salute 16-11-2007, art 2, comma 3 fa invece riferimento ai medici di medicina generale ma solo per confermare che “resta invariata la procedura di prescrizione”. Riteniamo, pertanto, che qualsiasi medico possa prescrivere terapie sostitutive anche se solo i medici di base e quelli operanti nei SERT/SMI possono farlo a carico del Sistema Sanitario Nazionale. Tale prescrizione deve avvenire con il ricettario approvato dal Ministero della Salute per la prescrizione di stupefacenti (art 43, comma 1) ma richiede la predisposizione di un piano terapeutico da parte di “una struttura sanitaria pubblica” (non, quindi, necessariamente, ai SER.T. di cui all’art. 118, vedi oltre) o a “una struttura privata autorizzata ai sensi dell’articolo 116 e specificamente per l’attivita’ di diagnosi di cui al comma 2, lettera d), del medesimo articolo” (cioè lo SMI). . L’art. 1 del D. Min Salute 16-11-2007, comma 2 stabilisce che tale piano, “di durata non superiore ai novanta giorni” debba essere redatto “dal servizio di cura”(comma 3) “in due copie entrambe originali”. Dall’analisi lessicale riteniamo che il Ministero intenda in realtà prescrivere la redazione di due originali. Tuttavia, visto che un originale non dimostra in alcun modo come sia stato redatto l’altro, sembra prudente non solo compilare il piano terapeutico in due originali ma tenere in cartella, fino alla sua scadenza, una copia fotostatica di quello consegnato all’interessato per il medico curante. Ciò al fine di potere, in caso di necessità (per esempio controllo telefonico da parte di altro medico) verificare il testo che è stato effettivamente consegnato, non essendo impossibili né errori di compilazione né alterazioni del documento. La durata di 90 giorni del piano terapeutico farebbe presupporre la possibilità che il paziente, una volta ricevuto tale piano dal “servizio di cura” possa rivolgersi al medico di fiducia per tutte le successive prescrizioni necessarie nel trimestre, come suggerito dall’art. 43, comma 5 che prevede come unico requisito per la prescrizione, il rispetto (e quindi la mera esistenza) di un piano terapeutico. Tuttavia il citato decreto 16-11-2007 prevede che “ogni nuova consegna” sia subordinata “all’aggiornamento o modifica del piano terapeutico convalidato con la data e la firma di un medico del servizio di cura”. Dato che ad ogni prescrizione corrisponde necessariamente una consegna se ne potrebbe dedurre che ogni prescrizione è subordinata alla “convalida” da parte del “servizio di cura” con ciò di fatto vanificando il dettato legislativo che non pone questi limiti. A questo proposito osserviamo che il DPR 171/1993, in seguito a parziale abrogazione con referendum popolare degli art. 2 e 72 del DPR 309/1990, prese atto della decadenza della facoltà del Ministero di definire “modalità e limiti” delle terapie sostitutive. Si ritiene pertanto che anche il Decreto Min. Salute 16-11-2007 debba necessariamente essere interpretato in questa luce e che quindi il comma 3 debba essere letto nel senso che la convalida del medico del SER.T. /SMI sia necessaria “ad ogni nuova consegna” solo nel caso di modifica del dosaggio del medicinale nel corso di validità del piano terapeutico. In pratica il medico del SERT può redarre un piano terapeutico anche con dosaggi variabili in base a determinati tempi e condizioni. Il medico di fiducia può prescrivere, secondo quanto predisposto, per 90 giorni senza necessità di ritorno al SERT/SMI. Solo nel caso rilevi la necessità di modificare il piano terapeutico il medico curante invierà il paziente al “servizio di cura” e, solo in questo caso, la nuova consegna dovrà essere subordinata alla modifica del piano stesso validata dallo specialista del SERT/SMI. Non c’è dubbio, in ogni caso, che la redazione formale del decreto avrebbe potuto essere resa più chiara e che sarebbe opportuna una circolare chiarificatrice. Ricordiamo, infine, che (a differenza di quanto stabilito dall’art. 9, comma 4 della legge 16-11-2001, n. 405, per la prescrizione di oppiacei a scopo analgesico), la prescrizione di metadone per il trattamento delle tossicodipendenze in regime SSN (Servizio Sanitario Nazionale) rientra nella regola generale del limite di 3 confezioni per ricetta. Il metadone viene ormai commercializzato in numerosi diversi dosaggi ma sempre in confezioni monodose. Quindi, come conferma la nota Ministero della Salute 0003548-P-26-2-2008 DGFDP del 26 febbraio 2008 (ulteriormente ribadita da Nota Ufficio Centrale Stupefacenti del 21 marzo 2008 n. DGFDM/VIII/P/8908 alla Regione Abruzzo), il medico di base, benché libero di prescrivere nel corso della stessa visita dosaggi fino a 30 giorni di terapia, dovrà farlo compilando ricette con non più di 3 confezioni ciascuna. Secondo la nota di Federfarma del 4-3-2008 prot. UL/AC/4589/124/F7/P se dalla ricetta spedita risultano indicazioni che consentono di stabilire l’indicazione (codice 014 o indicazione di un SERT) le confezioni eccedenti possono essere addebitate al farmacista.

Trattamenti effettuati da strutture pubbliche diverse dai SERT

Il DM 16-11-2007 fa riferimento rispetto alla titolarità dell’affidamento diretto di terapie sostitutive e della redazione del piano terapeutico al “servizio di cura”.  Per “servizi di cura” riteniamo si debbano intendere quelli indicati dall’art. 43, comma 5 del TU che fa riferimento a “una struttura sanitaria pubblica” (non, quindi, necessariamente, ai SER.T. di cui all’art. 118) o a “una struttura privata autorizzata ai sensi dell’articolo 116 e specificamente per l’attivita’ di diagnosi di cui al comma 2, lettera d), del medesimo articolocioè allo SMI. Riteniamo quindi che strutture pubbliche quali ospedali, policlinici universitari, servizi psichiatrici territoriali possano, dal punto di vista strettamente legale, redarre piani terapeutici, fatte salve le prerogative delle Regioni. 

Procedure per il trasferimento all’estero e per il trasporto di farmaci stupefacenti all’estero da parte di pazienti 

Le normative sugli stupefacenti, sul loro utilizzo terapeutico e sull’importazione variano da paese a paese. In alcuni stati l’introduzione di stupefacenti a qualsiasi titolo può comportare pene gravissime (per esempio la pena capitale). E’ perciò opportuno informare di questo i pazienti che intendono recarsi all’estero e fornire loro le informazioni specifiche disponibili. Queste informazioni possono essere richieste alle ambasciate (non sempre in grado di rispondere) o reperite su specifici siti (non sempre aggiornati). Segnaliamo al novembre 2014: “Euromethwork”  ( http://www.q4q.nl/euromethwork ). Ricordiamo, in ogni caso, che la legge italiana non dipende in alcun modo dal fatto che il paziente si rechi in altri paesi. Pertanto la prescrizione andrà fatta come previsto dalla nostra normativa, in nulla rilevando dove il paziente si recherà con il farmaco, anche nel caso che decidesse di correre determinati rischi. Per quanto riguarda l’Europa, invece, la totalità degli Stati aderenti all’accordo di Schengen accettano la possibilità di trasporto di stupefacenti a scopo terapeutico. Pertanto sia i pazienti che giungono in Italia sia quelli che lasciano l’Italia con terapie sostitutive devono essere dotati di un certificato redatto su modello fornito dall’autorità sanitaria (per l’Italia approvato con decreto Min. Salute “Norme concernenti la detenzione ed il trasporto di medicinali stupefacenti o psicotropi da parte di cittadini che si recano all’estero e di cittadini in arrivo nel territorio italiano“ del 16-11-2007), firmato dal medico prescrittore. Se il trasferimento all’estero supera i 30 giorni, naturalmente, sarà necessario verificare la possibilità di riferire il paziente ad un medico locale con modalità e costi che variano da paese a paese. Per gli stranieri in Italia, invece, rileviamo che l’art. 120 del TU estende le prestazioni del SERT a “chiunque faccia uso non terapeutico di sostanze stupefacenti o psicotrope” senza alcun riferimento a requisiti di cittadinanza. Metadone e buprenorfina inoltre sono inseriti nell’elenco OMS dei farmaci essenziali proprio per il loro uso nella terapia delle dipendenze da oppiacei e i trattamenti farmacologici sono indicati nell’art. 113 punto d3 del TU 309/1990 tra i compiti fondamentali dei servizi pubblici e accreditati. Riteniamo pertanto che per la nostra legislazione chiunque abbia diritto alla continuità terapeutica indipendentemente dalla reciprocità.

Norme citate

  1. Testo Unico del Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, 309, recante: «Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza» cosi come ultimamente modificato dalla legge 16 maggio 2014 n. 79
  2. Decreto Ministero della Salute, 3 agosto 2001
  3. Circolare Ministero della Salute, 8 ottobre 2001, prot. 800.UCS/Agl/5374
  4. 4) Decreto Ministero Salute, 11 maggio 2010
  5. Decreto Ministero della Salute, 18 dicembre 2006
  6. Circolare Ministero della Salute, 15 gennaio 2007 prot. DGFDM/VIII/P/C.l.a.c/1470
  7. Circolare Ministero della Salute, 22 febbraio 2007 prot. DGFDM/VIII/P/C.l.a.c/6674
  8. Decreto Legislativo 30 dicembre 1992, n. 502
  9. Circolare Ministero della Salute, 1 marzo 2006, prot. DGFDM/VIII/P/c.l.a.c/8196
  10. Comunicazione presidente FNOMCeO, n. 129 del 17 ottobre 2001 citante Nota Ministero della Salute 10 ottobre 2001
  11. Nota Ministero della Salute, 10 ottobre 2001 con oggetto “Approvvigionamento da parte dei medici e dei veterinari dei medicinali stupefacenti di cui alle tabelle I-IV del DPR 309/90”
  12. Legge 8 febbraio 2001 n. 12 (modificante DPR 309/1990)
  13. M. 20 aprile 1976, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 121 dell’8 maggio 1976
  14. M. 15 marzo 1985 (abrogato)
  15. M 11 maggio 2010 “Modalità di registrazione con sistemi informatici della movimentazione delle sostanze stupefacenti e psicotrope, dei medicinali e delle relative composizioni di cui alle tabelle allegate al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, recante il testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope e di prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”
  16. Legge 685/1975 (abrogata)
  17. Regione Lombardia nota Direzione Generale Sanità prot. H1.2010.0031252 del 21-9-2010
  18. Legge 21 febbraio 2006 n. 49 (modificante DPR 309/90)
  19. Nota Ministero della Salute del 28-1-2010, prot. n: DGFDM.VIII/I.5.f.e./2010/
  20. Contratto Nazionale di Lavoro della Dirigenza Medica e Veterinaria del Servizio Sanitario Nazionale 1996-2007
  21. DPR 10 dicembre 1997 n. 484 “Regolamento recante la determinazione dei requisiti per l’accesso alla direzione sanitaria aziendale e dei requisiti e dei criteri per l’accesso al secondo livello dirigenziale per il personale del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale”.
  22. Nota dell’Ufficio Centrale Stupefacenti, 6 giugno 1996, prot. F800.UCS/AG.l/3239
  23. Nota dell’Ufficio Centrale Stupefacenti, 18 settembre 2002, prot. 800.UCS/AG1/2338
  24. Nota dell’Ufficio Centrale Stupefacenti, 10 luglio 2001, prot. 800.UCS/AGl/4164
  25. Lgs. 7 marzo 2005 n. 82 “Codice dell’amministrazione digitale”
  26. Legge 15 marzo 2010 n. 38 “Disposizioni per garantire l’accesso alle cure palliative e alla terapia del dolore”
  27. Decreto Legislativo 196/2003 ”Codice per la tutela della riservatezza dei dati personali”.
  28. Circolare Ministero della Sanità, 13 gennaio 2000 n.2
  29. Linea guida comunitaria CPMP/QWP609/96
  30. Decreto Ministero della Sanità 27 febbraio 2001 “Disposizioni da applicare in caso di rinvenimento di medicinali con difetti o contenenti corpi estranei”
  31. Provvedimento del Garante per la tutela della riservatezza dei dati personali 9 novembre 2005, Strutture Sanitarie: rispetto della dignità
  32. Codice di Procedura Penale
  33. Codice Penale
  34. Provvedimento Garante per la riservatezza dei dati personali “Provvedimento in materia di videosorveglianza, 8 aprile 2010”
  35. Provvedimento Garante per la riservatezza dei dati personali 15 maggio 2013 Sistemi di videosorveglianza per il controllo della procedura di raccolta del campione urinario a fini certificatori o di cura della salute”
  36. Nota del Ministero della Salute, 19/04/2006
  37. Decreto Ministero della Salute 16 novembre 2007 “Consegna dei medicinali per il trattamento degli stati di tossicodipendenza da oppiacei da parte delle strutture pubbliche o private autorizzate ai pazienti in trattamento“
  38. DPR 394/1999 “Regolamento recante norme di attuazione del testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero, a norma dell’art. 1, comma 6 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286
  39. Nota Ministero della Sanità, 20 aprile 2000 n. 800/UCS/AG1/2229
  40. Nota Ministero della Sanità, 20 giugno 2000 n.800/UCS/AG1/3230Morfina nel trattamento del dolore dei pazienti terminali, interpretazione ed applicazione delle linee guida”
  41. Decreto Ministero della Sanità 739/1994
  42. Legge 10 agosto 200 n. 251
  43. Decreto del Ministero della Salute 18 novembre 2003 “Procedure di allestimento dei preparati magistrali e officinali”
  44. Codice Deontologico dei Farmacisti
  45. Norme per la buona preparazione dei medicinali in farmacia“ Farmacopea Ufficiale XI
  46. Lgs. N. 540 del 30 dicembre 1992 “Attuazione della direttiva 92/27/CEE concernente l’etichettatura ed il foglietto illustrativo dei medicinali per uso umano”
  47. Direttiva 92/27/CEE
  48. Lgs.n.219 del 24 aprile 2006 (in attuazione Direttiva 2001/83/CE)
  49. Circolare Min. San. ,8 giugno 2001 n.9 “Norme per agevolare l’impiego dei farmaci analgesici oppiacei nella terapia del dolore: indicazioni applicative”
  50. Circolare Min. Salute, 29 marzo 2006 prot DGFDM/VII/PF.1.aa/12064 “Trattamento medico farmacologico erogato in assistenza domiciliare ai pazienti tossicodipendenti in terapia sostitutiva”
  51. DPR 5 giugno 1993 n. 171 “Abrogazione parziale, a seguito di referendum popolare, del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza”
  52. Legge 16 novembre 2001, n. 405
  53. Nota Ministero della Salute, 0003548-P-26-2-2008 DGFDP del 26 gennaio 2008
  54. Nota Ufficio Centrale Stupefacenti del 21 marzo 2008 n. DGFDM/VIII/P/8908
  55. Nota di Federfarma del 4-3-2008 prot. UL/AC/4589/124/F7/P
  56. Decreto Min. Salute “Norme concernenti la detenzione ed il trasporto di medicinali stupefacenti o psicotropi da parte di cittadini che si recano all’estero e di cittadini in arrivo nel territorio italiano“ del 16-11-2007

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