Sdrogabrescia

Usi e abusi

Che cos’è la buprenorfina (Subbutex, Suboxone)

Informazioni sulle terapie di mantenimento con buprenorfina per la dipendenza da oppiacei

Mariagrazia Fasoli

Che cos’è la buprenorfina

La buprenorfina è una sostanza “oppioide” come il metadone. E’ cioè un farmaco prodotto in laboratorio, ma derivato dalla tebaina, una sostanza ricavata dall’oppio come la morfina e l’eroina. La buprenorfina, quindi, ha alcuni effetti (come l’analgesia, cioè l’eliminazione del dolore o la stipsi) simili a quelli della morfina, dell’eroina e del metadone. Tuttavia, a differenza delle altre sostanze citate, non produce, o addirittura previene, altri effetti tipici dei derivati dell’oppio. Tutto ciò dipende da come questo farmaco agisce sul particolare sistema di comunicazione tra le nostre cellule. Questo sistema comprende il cosiddetto sistema nervoso (cervello, midollo spinale e nervi), il sistema endocrino (costituito dalle ghiandole che producono ormoni) e il sistema immunitario (costituito da cellule e molecole che ci difendono dalle infezioni). Le “parole” attraverso cui le cellule di questi apparati comunicano sono gli ormoni e i neurotrasmettitori cioè particolari molecole (per esempio endorfine ed encefaline) che vengono riconosciute e decifrate da microscopiche strutture cellulari (chiamate recettori) come le chiavi vengono riconosciute dalle proprie serrature. Gli oppiacei comuni producono i loro complessi effetti (”aprono le loro porte”) agendo su diversi tipi di “serrature” tra cui due identificate con le lettere greche mu e kappa. La buprenorfina invece apre parzialmente la porta del recettore mu (quello dell’analgesia) e “blocca” il recettore kappa, come farebbe una chiave sbagliata. Queste differenze nel meccanismo d’azione vengono sfruttate per ottenere alcuni effetti simili a quelli degli oppiacei e per evitarne altri. Sono però anche il motivo per cui, come spiegato più oltre, chi passa dall’assunzione di un oppioide “normale” (come l’eroina o il metadone) all’assunzione di buprenorfina deve seguire determinate precauzioni per evitare sintomi spiacevoli.

Via di assunzione

La buprenorfina può essere assunta con iniezione intramuscolare, per via venosa, per via transdermica (cioè attraverso l’applicazione di un cerotto) e per via sub-linguale. Quest’ultima via è quella utilizzata per la terapia della dipendenza da eroina perché consente al farmaco di passare nel sangue senza attraversare prima il tubo digerente e quindi il fegato. Se ciò avvenisse, infatti, il fegato ne inattiverebbe la maggior parte. Perciò compresse che vengono consegnate ai pazienti con dipendenza da eroina devono essere tenute sotto la lingua fino ad assorbimento. Altri modi di assunzione (per esempio l’iniezione endovenosa delle compresse tritate e sciolte in acqua) sono molto pericolosi sia per il rischio di infezioni sia per il rischio di un sovradosaggio non trattabile con l’antidoto (Narcan/naloxone) se non a dosi molto alte (vedi oltre).

Come funziona la buprenorfina

Per tutti gli oppiodi assunti per un periodo abbastanza lungo si verifica un fenomeno chiamato “tolleranza“. Cioè, col tempo (circa 2-4 settimane, ma con molte variazioni individuali), l’organismo si abitua, attraverso l’adattamento dei recettori, a funzionare normalmente in presenza della sostanza che, quindi, è come se perdesse effetto: le “chiavi” trovano sempre meno “serrature” e quando le trovano sono sempre meno “oliate”. Perciò ne occorrono quantità sempre maggiori per ottenere lo stesso effetto. Grazie a questa tolleranza i re dell’antichità riuscivano ad “abituarsi” ai veleni in modo da non avere danni nel caso che qualcuno avesse provato ad avvelenarli. Per questo stesso motivo una persona che non ha mai assunto oppiacei può presentare gravi effetti collaterali con dosaggi bassi mentre può succedere che un paziente tollerante assuma senza danni, e senza effetti, dosi dieci volte superiori. Questo fenomeno può rappresentare un problema quando si utilizzano gli oppiacei per la terapia del dolore ma è invece molto utile per il trattamento della tossicomania da eroina. La persona dedita all’eroina, infatti, presenta una serie di disturbi del comportamento che sono in stretto rapporto alla continua variazione dei livelli plasmatici della droga e al continuo passaggio, anche psichico, dal “sentirsi bene” al ”sentirsi male”. Proprio perché farmaci come il metadone e la buprenorfina agiscono in modo analogo all’eroina sul recettore mu, tra questi composti c’è tolleranza crociata: cioè chi è tollerante alla buprenorfina è tollerante anche all’eroina e non ne sente più gli effetti. Il principale meccanismo d’azione della buprenorfina però consiste nello stabilire con i recettori legami più forti rispetto agli altri oppiacei, impedendo così il legame che ne determinerebbe l’effetto. La buprenorfina, inoltre, subisce nel nostro organismo un destino diverso da quello dell’eroina e suoi livelli nel sangue sono molto più stabili. Perciò il paziente non presenta, di regola, i sintomi psico-fisici tipici della tossicomania e, se il trattamento funziona come previsto, avrà un aspetto e un comportamento del tutto normali. Se così non fosse dovrebbe essere immediatamente indirizzato al medico responsabile della terapia per i controlli del caso.

La buprenorfina e la sindrome d’astinenza da oppiacei

Come si è detto, l’azione della buprenorfina non è perfettamente uguale a quella degli altri oppiacei e, anzi, per quanto riguarda gli effetti sul recettore k, è addirittura opposta. Per questo motivo se una persona tollerante all’eroina o ad altri oppiacei la assumesse nei modi e nei tempi sbagliati e prevalesse il suo effetto “antagonista”, potrebbe addirittura scatenare una sindrome d’astinenza (nausea, vomito diarrea, dolori articolari, insonnia, ansia, irritabilità…). Questa sintomatologia ha la caratteristica di non poter essere attenuata dall’assunzione di nessun altro oppiaceo, anche in alte dosi: la buprenorfina, infatti, “occupa” i recettori e ne impedisce l’azione. Questa sindrome d’astinenza dura da due a 36 ore e può essere trattata solo con farmaci sintomatici. In persone con malattie croniche (cardiopatici, ipertesi, malati mentali, epilettici…) e nelle donne incinte richiederebbe il ricovero. Se invece la buprenorfina viene assunta quando già la sindrome da astinenza si sta manifestando (cioè circa 12-24 ore dopo l’ultima assunzione di eroina o morfina e circa 2-3 giorni dopo l’ultima assunzione di metadone), prevale l’effetto cosiddetto “agonista” e i sintomi vengono attenuati. Il farmaco può quindi essere utilizzato a dosi decrescenti per alcuni giorni o alcune settimane per conseguire la disintossicazione. Il trattamento a breve termine non ha nessun effetto sulle probabilità di recidiva e quindi chi lo segue deve avere un altro “piano” per non ricadere nell’uso di eroina. Inoltre deve sapere che, in questo modo, la sua tolleranza agli oppiacei si ridurrà e, quindi, se assumesse la stessa quantità di eroina a cui era abituato rischierebbe l’overdose.

La buprenorfina per la terapia della tossicodipendenza da eroina

Il trattamento con buprenorfina a lungo termine ha l’obbiettivo di ridurre o annullare i rischi e gli effetti negativi della dipendenza da eroina illegale. Se una persona assume tutti i giorni eroina illegale per via venosa corre vari rischi e precisamente:

  • i rischi legati agli effetti dell’eroina (dipendenza, tolleranza, overdose, alterazioni del comportamento, continue variazioni dell’umore);

  • i rischi legati all’uso di siringhe non sterili (epatiti, infezioni da HIV, endocarditi, infezioni generalizzate);

  • i rischi legati al taglio (reazioni allergiche anche mortali, imprevedibili effetti farmacologici in base alle sostanze presenti);

  • i rischi legati al costo dell’eroina e al fatto che e’ illegale (danni economici, impoverimento, perdita del ruolo sociale, ricattabilità, malversazioni, prostituzione, furti, spaccio, e di conseguenza prigione);

Se una persona assumesse tutti i giorni buprenorfina regolarmente prescritta (e niente altro) correrebbe solo alcuni rischi legati agli effetti collaterali del farmaco senza presentare, in genere, alterazioni del comportamento e dell’umore.  Se una persona assumesse tutti i giorni buprenorfina e raramente eroina, gli altri rischi, compreso quello di overdose, sarebbero in ogni caso ridotti. Non dovrebbe verificarsi invece il caso di persone che assumono quotidianamente buprenorfina ed eroina, perché ciò dovrebbe comportare solo una maggiore spesa per l’interessato costretto ad aumentare le dosi della sua droga molto più che se non fosse in terapia.

Gli effetti negativi della terapia con buprenorfina

Chi assume buprenorfina nei dosaggi e nei modi prescritti potrebbe presentare alcuni effetti collaterali. I più frequenti segnalati dal produttore sono: nausea, sonnolenza, insonnia, vertigini, mal di testa, singhiozzo, bocca secca, sudorazione, improvviso abbassamento della pressione quando ci si alza in piedi, difficoltà ad urinare, allucinazioni, visione confusa, problemi sessuologici . La stitichezza si manifesterebbe in un paziente su cinque cioè meno spesso di quanto avviene con altri oppiodi. Una reazione avversa più grave, ma molto più rara, è l’epatite iperacuta con itterizia che è stata segnalata soprattutto in persone già portatrici del virus dell’epatite C. Questi soggetti dovrebbero quindi preferire altri trattamenti. In ogni caso le persone che intendono assumere buprenorfina dovrebbero effettuare esami del sangue periodici per controllare le condizioni del loro fegato. Naturalmente, come per tutti gli altri farmaci, e’ possibile che si verifichino reazioni di ipersensibilità in persone predisposte: shock anafilattico, edema angioneurotico, broncospasmo.

Sovradosaggio da buprenorfina

La reazione avversa più pericolosa è però la cosiddetta depressione respiratoria cioè l’inibizione dei centri nervosi che controllano il respiro che può portare anche alla morte. Per fortuna questo incidente non si verifica mai nelle persone che assumono buprenorfina nei dosaggi prescritti e per via sub-linguale ed è molto raro anche in caso di sovradosaggio accidentale. Il meccanismo d’azione della sostanza, infatti, fa sì che, oltre un certo dosaggio, l’effetto non aumenti più, a meno ché non siano in gioco anche altri farmaci. Particolarmente pericolosi, specie se la buprenorfina viene assunta per via venosa, sono l’alcol, gli altri oppiacei e gli psicofarmaci in generale. Il maggior numero di decessi però è stato segnalato per l’associazione con i cosiddetti “sedativi ipnotici” (benzodiazepine e imidazopirine) cioè i farmaci che vengono assunti per dormire o per ridurre l’ansia. In questi casi anche i soccorsi possono rivelarsi inutili perché, a differenza degli altri oppiacei, la buprenorfina sovradosata risponde molto poco alla somministrazione di naloxone, l’antidoto commercializzato come “Narcan”. Quindi uno stato soporoso o una riduzione degli atti respiratori a meno di 8 al minuto (una persona normale respira almeno 12 volte al minuto) in soggetti che assumono buprenorfina dovrebbe indurre a chiamare subito l’ambulanza e, se necessario, ad effettuare la respirazione artificiale.

Chi non deve assumere buprenorfina

La buprenorfina è controindicata in persone con malattie del fegato o dei polmoni, in persone intossicate dall’alcol e in chi in passato ha manifestato reazioni di ipersensibilità al farmaco. Inoltre, come si è già detto, non deve essere assunta da chi ha usato altri oppiacei finchè non compaiono sintomi di astinenza. Come per tutti i farmaci i portatori di malattie ereditarie che producono intolleranza a sostanze (come per esempio il galattosio) devono avvisare il medico perché controlli se il prodotto disponibile contiene, oltre al farmaco, eccipienti per loro pericolosi.

Buprenorfina, gravidanza e attività sessuale

Le donne che intendono restare incinte o che allattano non dovrebbero, secondo quanto indicato nella scheda tecnica del farmaco tuttora presente nelle confezioni in vendita, assumere buprenorfina. Ciò anche se non sono finora segnalati casi di malformazioni o di aborti attribuibili alla buprenorfina e se gli ultimi studi (Brogly, Susan B., et al. “Prenatal buprenorphine versus methadone exposure and neonatal outcomes: systematic review and meta-analysis.” American journal of epidemiology 180.7 (2014): 673-686) suggeriscono che il farmaco non influisca negativamente sulla gravidanza. Ciò non ostante per le donne incinte il farmaco di scelta resta ancora il  metadone, farmaco più vecchio e quindi più conosciuto e più sicuro. Nella scheda tecnica dei prodotti a base di buprenorfina (come il Suboxone ) si sconsiglia quindi ancora l’uso di questa sostanza in gravidanza. Per chi è già in terapia, quindi, si dovrbbe considerare la possibilità di passare a metadone. Questo passaggio può essere fatto immediatamente, facilmente e senza rischi. Non è invece consigliabile sospendere semplicemente la buprenorfina perché la sindrome d’astinenza che ne deriverebbe, sebbene non intensa, potrebbe teoricamente danneggiare la prosecuzione della gravidanza. Se si desiderasse una immediata disassuefazione da buprenorfina il farmaco più sicuro, perché più studiato, sarebbe di nuovo il metadone e non, per esempio, la clonidina (Catapresan), che non ha questa indicazione sulla scheda tecnica e che potrebbe avere effetti negativi sul circolo fetale. Le donne che assumono buprenorfina non dovrebbero allattare. Come gli altri oppiacei la buprenorfina puo’ interferire con l’attività sessuale e riproduttiva in vari modi anche se le più recenti revisioni degli studi effettuati dimostrerebbero che questi effetti siano meno frequenti rispetto a quanto avviene con metadone (Yee, Anne, Huai Seng Loh, and Chong Guan Ng. “The Prevalence of Sexual Dysfunction among Male Patients on Methadone and Buprenorphine Treatments: A Meta‐Analysis Study.The journal of sexual medicine 11.1 (2014): 22-32 ).    Sembra però che circa un paziente su 5 potrebbe presentare una riduzione del desiderio sessuale e circa uno su 10 potrebbe manifestare problemi con l’erezione.  Tutti gli oppioidi, per il loro meccanismo d’azione, potrebbero produrre amenorrea cioè mancanza di mestruazioni. Tuttavia le donne che cessano di assumere eroina dopo aver iniziato la terapia con buprenorfina manifestano di solito una regolarizzazione del ciclo. In ogni caso la mancanza di mestruazioni non significa che la paziente non possa restare incinta. Eventuali misure contraccettive devono perciò essere mantenute. In ogni caso, se durante la terapia con buprenorfina comparissero disturbi della sfera sessuale o riproduttiva, dovrebbero essere discussi con il proprio medico e si dovrebbero assolutamente evitare soluzioni “fai da te” come il ricorso alla cocaina o all’alcol, perché a lungo termine inefficaci, controproducenti e anche pericolose.

Tossicomania da buprenorfina

A differenza del metadone, che viene rivenduto sul cosiddetto “mercato grigio” praticamente solo per sospendere l’eroina e per evitare la sindrome d’astinenza, la buprenorfina può produrre una vera e propria tossicomania anche se molto più raramente di quanto avvenga con l’eroina. Questo problema è raro in persone che la stanno assumendo per via sublinguale ai dosaggi previsti per la terapia della dipendenza da oppiacei mentre è più frequente tra coloro che la assumono per via inalatoria acquistandola illegalmente o utilizzando in maniera impropria il farmaco prescritto, come avviene in alcuni paesi come India e Svezia dove, in anni recenti, sono state sequestrate più dosi di buprenorfina che di cocaina. Non altrettanto si è verificato in Italia dove la relazione al Parlamento del 2015 riferita, ai dati del 2014, non rileva analoghi problemi. In conclusione, quindi chi assume buprenorfina presenta un rischio di sviluppare tossicomania maggiore di chi assume metadone ma molto più basso rispetto a chi si espone a eroina. Per questo problema il produttore di buprenorfina ha messo in commercio un farmaco (nome commerciale Suboxone) che dovrebbe evitare questo inconveniente perché contiene anche naloxone. Come si è detto, il naloxone è l’antidoto che blocca gli effetti degli oppiodi ma solo se somministrato per endovena. Aggiunto alle compresse di buprenorfina, ne lascia invariato l’effetto se vengono assunte per via sub-linguale ma lo blocca nel caso di una eventuale assunzione endovena. Perciò, nella scheda tecnica allegata al farmaco, il produttore dichiara di “aspettarsi” una riduzione del rischio di rivendita sul mercato nero. A tutt’oggi (marzo 2016) non ci sono tuttavia studi indipendenti dalla casa farmaceutica che confermino questo dato. Invece uno studio finlandese durato 5 anni (Simojoki e Hannu, 2013) ha dimostrato che la vendita di Suboxone al mercato grigio a scopo di abuso è diffusa  quanto quella di buprenorfina singola. Va inoltre chiarito che, proprio perché il principio attivo è esattamente lo stesso, anche il rischio di sviluppare una tossicomania è lo stesso. Perciò chi essendo in trattamento con buprenorfina o con Suboxone si accorgesse di pensare troppo spesso al farmaco o avesse la tentazione di assumerne più della quantità prescritta o manifestasse segni di inquietudine all’idea di ritardarne l’assunzione dovrebbe segnalarli la proprio medico per verificare la possibilità di passare ad una terapia con metadone o ad un altro tipo di programma.

Buprenorfina e guida

Come si è detto, agli effetti della buprenorfina e degli altri oppiacei si instaura tolleranza. Quindi una persona in terapia da un certo tempo alla stessa dose potrebbe non avere nessuna diminuzione delle capacità di guida. Ciò è stato provato con studi che utilizzano gli stessi test impiegati per valutare i piloti professionisti. Occorre tuttavia fare attenzione all’inizio della terapia, quando ancora non è stato trovato il giusto dosaggio di mantenimento, e ogni qual volta si assumano farmaci diversi che potrebbero alterare la velocità di eliminazione della buprenorfina o alterarne gli effetti (li indichiamo più oltre). Anche cambiamenti delle condizioni fisiologiche, come malattie intercorrenti, potrebbero compromettere la capacità di guidare in sicurezza. Perciò le persone in terapia cronica con qualsiasi farmaco dovrebbero fare attenzione alle proprie condizioni psichiche e in particolare all’insorgenza di sonnolenza. Dovrebbero, inoltre, come tutti, rispettare rigorosamente e automaticamente il Codice della Strada. Le commissioni patenti, cioè le commissioni delle ASL incaricate di verificare l’idoneità alla guida, non hanno un comportamento univoco in questi casi. In genere però, se il cittadino dimostra di non assumere altre sostanze e di seguire regolarmente la terapia, la patente viene concessa. In caso di necessità, il cittadino può anche fornire alla commissione la letteratura scientifica o la documentazione medica che ritiene utile per ottenere il riconoscimento dell’idoneità. Non è invece possibile “pretendere” la patente da una commissione solo sulla base del comportamento di altre. I medici che ne fanno parte, infatti, esprimono, sotto la propria esclusiva responsabilità una valutazione professionale che può anche discostarsi dal parere di altri colleghi. La patente, inoltre, non è un “diritto” ma una autorizzazione alla guida di macchine pericolose, che producono alcune migliaia di decessi ogni anno, basata su attestazioni di idoneità che impegnano personalmente i professionisti che le rilasciano.

Buprenorfina e lavoro

Nel 2008 è entrata in vigore la normativa nazionale che obbliga i proprietari delle aziende ad accertare che le persone addette a certe mansioni non facciano uso di droghe. Per ora i lavoratori interessati da questi accertamenti sono quelli che devono guidare mezzi pesanti o devono utilizzare macchinari che movimentano grossi pesi. Come si è detto, l’uso terapeutico di buprenorfina per la tossicodipendenza da oppiacei, senza assunzione di altri farmaci o droghe, può essere compatibile con la guida di motoveicoli secondo un certo numero di ricerche. Per quanto riguarda la normativa sull’idoneità alle mansioni pericolose però la situazione pare diversa. La norma prevede infatti che l’idoneità venga rilasciata solo dopo la certificazione di remissione completa della tossicodipendenza. E’ abbastanza evidente che, finchè una persona è in terapia per una certa malattia, non sembra possibile certificarne la conclusione. E’ poco probabile, perciò, che chi assume questi farmaci possa ottenere dal medico di fabbrica l’idoneità a svolgere le mansioni sopra citate.

Interazioni con altri farmaci

Tutte le volte che qualcuno assume un farmaco in modo cronico, deve porre particolare attenzione alla possibilità che si verifichino interazioni con altri farmaci, magari assunti occasionalmente. Il principale pericolo degli oppioidi, e’ la depressione dei centri del respiro. Se assunta da sola, la buprenorfina, come si è detto, presenta questo rischio in misura inferiore ad altri farmaci dello stesso tipo ma è invece molto rischiosa, tanto da aver provocato numerosi decessi, se associata ad altri farmaci che deprimono il respiro. Tra questi l’alcol (vino, birra, liquori) e tutti i sedativi del sistema nervoso centrale, tra cui molti psicofarmaci e in particolare le benzodiazepine (Xanax, Halcion, Roipnol, Valium ecc) e le imidazopriridine (meglio note come “z-drugs: zaleplon, zolpidem, zopiclone ecc). Per questi farmaci non si verifica così facilmente il fenomeno della tolleranza e il loro effetto si somma a quello della buprenorfina. Un altro tipo di problema è costituito da farmaci provocano l’accumulo della buprenorfina perché bloccano gli enzimi che dovrebbero smaltirla. In particolare occorre fare molta attenzione ai farmaci sul cui foglietto è scritto che sono inibitori di un sistema enzimatico chiamato “CYP3A4”, come molti farmaci usati per il trattamento dell’infezione da HIV (ritonavir, nelfinavir, indinavir, per esempio), per le infezioni da funghi (fluconazolo, ketoconazolo e itraconazolo), per le infezioni batteriche (claritromicina, ciprofloxacina), per la depressione (fluvoxamina). Tutte queste medicine possono aumentare gli effetti, anche negativi della buprenorfina. Inoltre, una volta raggiunto l’equilibrio, la loro improvvisa sospensione può produrre, al contrario, una altrettanto rapida diminuzione dei livelli plasmatici dell’oppioide e scatenare una sindrome d’astinenza. Segni di astinenza potrebbero anche presentarsi assumendo alcuni farmaci antiepilettici (carbamazepina, fenintoina, fenobarbital) o antitubercolari (rifampicina). E’ importante perciò avvisare sempre i medici della eventuale terapia prescritta da altri colleghi ma anche leggere molto bene i foglietti illustrativi dei farmaci che si assumono. Anche se non citano espressamente la buprenorfina l’indicazione di interferenze con il CYP3A4 dovrebbe indurci a fare attenzione ad eventuali nuovi sintomi e ad avvisare il medico prima di continuare le terapie.

Interazioni con alimenti, prodotti di erboristeria e droghe.

Ci sono pochi studi sulle interazioni tra buprenorfina, droghe e prodotti di erboristeria ma alcuni effetti possono essere predetti conoscendo le caratteristiche di queste sostanze. L’alcol, come si è detto, può produrre se associato a buprenorfina un pericoloso rallentamento del respiro. Lo stesso effetto è prevedibile con prodotti di erboristeria che contengono sostanze ad effetto sedativo come valeriana, camomilla e kava. Quest’ultimo prodotto può anche indurre gravi danni al fegato che potrebbero essere aggravati dalla buprenorfina. L’assunzione cronica di oppiacei, inoltre, può indurre, per un effetto puramente farmacologico, un aumento del consumo di tabacco. Chi inizia una terapia con buprenorfina, quindi, farebbe bene ad utilizzare anche qualche metodo per controllare, ridurre o anche abbandonare il fumo. La cocaina diminuisce le concentrazioni di buprenorfina nel sangue con meccanismi ancora in discussione. Il ginseng riduce gli effetti analgesici degli oppioidi e potrebbe quindi interferire con l’effetto della buprenorfina. Anche l’ipericum, contenuto in molti prodotti contro la depressione, può accelerare l’eliminazione della buprenorfina e ridurne l’effetto. Una serie di prodotti di erboristeria utilizzati per problemi gastrointestinali e per stimolare il sistema immunitario (uncaria tormentosa, matricaria recutita, echinacea, hydrastis canadensis, quercetin) si sono dimostrati in grado di aumentare i livelli plasmatici di metadone attraverso un meccanismo che potrebbe riguardare anche la buprenorfina. Il pompelmo e il suo succo bloccano l’attività del già citato enzima CYP3A4 . Mangiare anche un solo frutto, potrebbe quindi produrne l’accumulo del farmaco e aumentare il rischio di effetti collaterali. D’altra parte chi assumesse tutte le mattine il suo succo di pompelmo e cambiasse improvvisante abitudine potrebbe invece sperimentare segni di astinenza.

Mantenimento con buprenorfina e terapia del dolore

Il fenomeno della tolleranza crociata e la “occupazione” del recettore mu, che si verificano in pazienti in terapia con metadone o buprenorfina, benchè utili per la terapia della dedizione all’eroina, rappresentano un serio problema per chi avesse bisogno di terapia analgesica. Gli oppiacei, infatti, sono farmaci insostituibili per molte sindromi dolorose e sono indispensabili anche nel corso dell’anestesia. Il problema è in genere risolvibile utilizzando un oppiaceo a breve durata d’azione (come il fentanil o la morfina) a dosaggi molto più elevati dell’usuale, in proporzione al dosaggio di mantenimento in atto. Il particolare meccanismo d’azione della buprenorfina, tuttavia, potrebbe impedire l’attività analgesica di altri oppiacei, anche a dosaggi elevati. Potrebbe quindi essere necessario sospenderla del tutto e sostituirla con metadone associato al farmaco antidolorifico oppure utilizzare soltanto quest’ultimo. Purtroppo, di fatto, la maggior parte dei medici estranei alla medicina delle dedizioni non conoscono questa problematica e sono restii a prescrivere oppiacei a dosaggi che sarebbero mortali per chiunque non fosse tollerante. A ciò si aggiunge che l’uso cronico di oppiacei produce spesso una ipersensibilità al dolore. In molti Ser.T. ogni paziente riceve un certificato di trattamento in italiano che contiene alcune importanti indicazioni in merito e il numero di telefono del servizio. E’ molto importante, per ovvi motivi, che questo certificato venga portato con sé dalle persone in trattamento e che il dosaggio indicato sia quello effettivamente assunto.

Disassuefazione da buprenorfina e sindrome d’astinenza

La tolleranza, che consiste in un adattamento dei nostri sistemi neurobiologici alla presenza di dosi molto elevate del farmaco, ha come contropartita la sindrome d’astinenza se la sostanza viene bruscamente sospesa. Le nostre cellule, cioè, si trovano improvvisamente prive sia del “falso” neurotrasmettitore sia di quello naturale il cui utilizzo è stato bloccato come reazione all’esposizione cronica al farmaco. Il risultato è una sindrome costituita da una serie di effetti che sono, in genere, il contrario dell’effetto del farmaco. La sindrome d’astinenza da oppiacei, perciò, si manifesta con vomito, diarrea, insonnia, inquietudine, dolori diffusi, ansia, “pelle d’oca” ecc. La buprenorfina viene eliminata molto lentamente dal nostro organismo. Perciò, rispetto a quanto avviene con l’eroina, la sindrome d’astinenza insorge più tardi (dopo almeno due giorni dall’ultima assunzione) e dura più a lungo (almeno una decina di giorni). Inoltre, dato il particolare meccanismo d’azione di questo farmaco, i sintomi sono meno intensi rispetto a quanto avviene con altri oppioidi. E’ stata anche descritta una sindrome d’astinenza protratta che dura alcuni mesi e che si caratterizza prevalentemente con sintomi psico-fisici come irrequietezza, malumore, sonno irregolare, variazioni di peso, stanchezza inspiegabile, irregolarità mestruali. Si è constatato empiricamente che questi sintomi si attenuano o scompaiono seguendo regole di vita molto regolari (pasti, riposo, lavoro, attività fisica a ore fisse). Ciò potrebbe essere dovuto al fatto che il nostro orologio biologico risponde prontamente ai cosiddetti “sincronizzatori esterni”, che sono, appunto, le nostre abitudini di vita e questo aiuterebbe il cervello a ritrovare più rapidamente l’equilibrio naturale. La sindrome d’astinenza da buprenorfina si può evitare riducendo le dosi gradualmente oppure si può controllare usando dei farmaci sintomatici. In ogni caso chi inizia un trattamento con buprenorfina a lungo termine deve ricordare che assumerà dosaggi almeno dieci volte più elevati di quelli usati, per esempio, per l’analgesia e che, quindi, la disassuefazione potrebbe richiedere un certo tempo.

Efficacia del trattamento di mantenimento

Per decidere se un trattamento è efficace è molto importante avere chiaro quale sia l’obbiettivo che vogliamo raggiungere. Un trattamento di mantenimento con buprenorfina può essere scelto per ridurre i gravi rischi associati all’uso di eroina oppure per eliminare l’uso di eroina. Nel primo caso il medico dovrebbe utilizzare un dosaggio sufficiente a prevenire l’overdose e ad ottenere almeno qualche miglioramento delle condizioni di vita del paziente, in attesa che costui sia in grado di prendere decisioni utili per la sua salute. Nel secondo caso il dosaggio dovrebbe invece essere quello sufficiente a inibire l’assunzione di altri oppiacei. Per entrambi gli obbiettivi esistono numerosi studi, condotti soprattutto per il mantenimento con metadone, i cui risultati, però, non sempre possono essere automaticamente estesi ai diversi programmi attuati in diversi contesti. Per il singolo paziente esiste poi sempre una quota piuttosto importante di variabilità individuale. Nel particolare caso delle tossicomanie, infatti, gli effetti puramente farmacologici interagiscono con le emozioni, le abitudini le condizioni sociali della persona. In ogni caso, secondo la revisione di tutte le ricerche effettuate dagli anni sessanta in poi dalla “Cochrane Collaboration” (un’associazione no profit di farmacologi indipendenti che valutano gli studi sui farmaci secondo rigorosi criteri scientifici) i trattamenti di mantenimento con metadone sono efficaci nel diminuire le incarcerazioni, nel diminuire gli episodi di overdose, nel migliorare i rapporti familiari, nell’aumentare la capacita’ di mantenere un lavoro, nel diminuire la mortalità e nel diminuire l’uso di oppiacei illegali, anche se le percentuali di successo riferite sono molto diverse da uno studio all’altro. Nel 2008 la Cochrane Collaboration ha revisionato anche tutti gli studi effettuati sul mantenimento con buprenorfina e li ha confrontati con i risultati ottenuti con il metadone. E’ risultato che, quando la terapia è correttamente condotta a dosi flessibili, la buprenorfina è un po’ meno efficace del metadone nel mantenere il paziente in trattamento, mentre ha un’efficacia simile nel ridurre l’uso di eroina e nel ridurre i problemi legali. La scelta dell’uno o dell’altro farmaco pertanto dovrebbe dipendere soprattutto dalla presenza o assenza di controindicazioni: per esempio i pazienti a maggior rischio di problemi cardiologici (per i quali il metadone potrebbe essere rischioso) dovrebbero essere trattati con buprenorfina mentre a chi presenta problemi al fegato si dovrebbe consigliare il metadone.

Durata del trattamento di mantenimento con buprenorfina

Non e’ possibile stabilire a priori la durata di un trattamento con buprenorfina, anche se i dati della letteratura scientifica tendono a suggerire trattamenti molto lunghi (anni) o anche senza termine, nell’ipotesi che la dedizione agli oppiacei sia una malattia cronica come il diabete e quindi richieda una terapia vita natural durante. In realtà altri studi (pure disponibili presso il nostro servizio) dimostrano che sia questa che altre dedizioni possono andare incontro, in molti casi, ad un completo recupero. Noi stessi conosciamo molte persone che dopo aver seguito questa ed altre terapie sono oggi perfettamente astinenti senza necessità di alcuna assistenza. Come ne conosciamo altre, invece, che dopo molti tentativi non riusciti di risolvere rapidamente e definitivamente il loro problema, sono riusciti a condurre una vita normale seguendo da molti anni questa od altre terapie. In genere le ricerche pubblicate sulle maggiori riviste scientifiche del mondo concordano nel consigliare di considerare la possibilità di scalare dopo almeno un anno che il paziente è astinente. Quindi, visto che lo scalo dovrebbe essere lento, chi inizia questo trattamento dovrebbe prevedere almeno 2 anni di terapia.

Trattamenti con buprenorfina e problemi sociali

Il trattamento di persone dipendenti da oppioidi con altri oppioidi, buprenorfina compresa, è stato oggetto di una serie di vertenze e di contestazioni di carattere ideologico che si sono riversate sulla regolamentazione della terapia dal punto di vista legale. In ogni caso, chi decide di richiedere questa terapia deve tenere presente che, sia in Italia che nel resto del mondo, potrà andare incontro ad una serie di problemi che non hanno nulla a che fare con la medicina. Potrà per esempio rischiare di non potersi mettere in viaggio perché, nel luogo di destinazione la sua terapia è illegale o è considerata tale o non ci sono medici disposti a subire continue vertenze per dimostrare che così non è, oppure è sottoposta a vincoli intollerabili per una persona con una normale attività quale quello di recarsi ogni giorno a fare la coda in una determinata sede. Un sito (in inglese) dedicato a chi vuole viaggiare è quello del gruppo Indro all’indirizzo Al trattamento con buprenorfina, inoltre, è associato uno stigma sociale che, sebbene inferiore a quello che colpisce il più noto trattamento con metadone, rischia, a volte, di creare danni sul posto di lavoro o nelle relazioni personali. Questi aspetti devono essere attentamente valutati prima di iniziare un trattamento. A nostro giudizio, infatti, la convenienza o meno a chiedere questo trattamento dipende da una serie di valutazioni non solo farmacologiche che ognuno dovrebbe fare sulla base della sua particolare situazione e anche di quella del servizio a cui si rivolge. Una buona idea è quella di consultare il proprio medico di base che è nelle condizioni migliori per conoscere sia il paziente che i servizi a cui ci si può rivolgere. E’ anche possibile trovare in internet dei forum in cui pazienti ed ex pazienti scambiano le proprie esperienze in modo informale anche se la correttezza di queste informazioni dal punto di vista medico non è garantita.

Attuale regolamentazione dei trattamenti con buprenorfina in Italia

I trattamenti con farmaci oppiodi in Italia sono regolati dalla legge 309/90, modificata l’ultima volta nel 2014 e, per quanto riguarda le persone tossicodipendenti, dal Decreto Min. Salute 16-11-2007. La buprenorfina, a differenza del metadone, può essere prescritta per il trattamento della dipendenza da oppiacei solo dai Servizi Pubblici per le Tossicodipendenze (SERT) e, dove esistono, anche dai Servizi Multidisciplinari Integrati (SMI), detti “SERT privati”. Il medico prescrittore può decidere di prescrivere o affidare il farmaco al massimo per 30 giorni di terapia e deve consegnare al paziente solo confezioni integre. Il paziente deve portare con sé una copia del suo piano terapeutico per evitare di essere accusato dei detenzione illegale. La buprenorfina infatti è considerata dalla legge nella stessa categoria delle droghe e la sua detenzione illegale è equiparata allo spaccio e punita con vari anni di carcere. In caso di smarrimento del farmaco è necessario che l’interessato denunci il fatto ai carabinieri o alla polizia. La persona che riceve buprenorfina per la propria terapia è tenuta a custodirla in modo da evitare che venga inavvertitamente assunto da bambini o animali. Se ciò accadesse potrebbe essere chiamata a rispondere per omicidio colposo o lesioni o danni in base alle conseguenze. Il farmaco, se non sono necessari controlli clinici diretti, può anche essere consegnato ad una persona delegata dal paziente in caso di serio impedimento a raggiungere il servizio. La persona delegata deve presentare un documento di identità valido.

Prima versione 2008, ultimo aggiornaMento il 10 marzo 2016

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