Sdrogabrescia

Usi e abusi

Il gioco d’azzardo

Perché  si gioca d’azzardo, come mai chi vuole smettere di farlo spesso non ci riesce, perché tutti i metodi possono funzionare, perché tutti i metodi possono fallire 

Le persone che hanno problemi con il gioco d’azzardo spesso si sentono in crisi perché non capiscono il proprio comportamento. Quando vogliono smettere, non ci riescono. Fanno cose che non avrebbero mai pensato di fare e di cui si vergognano. Non riconoscono più se stessi. Tutto questo può togliere a queste persone la fiducia e la stima di se stesse o, addirittura, suscitare la paura di essere pazze, degenerate, “sbagliate”, irrecuperabili. Questa lettura ha l’obbiettivo di aiutarvi a capire perché avviene tutto ciò, in modo che chi ha deciso di seguire un certo programma possa farlo senza dubbi angoscianti.

 Il gioco e il gioco d’azzardo

 Il gioco accompagna ciascuno di noi fin dalla nascita. L’umanità, fin dai suoi albori, ha dato tanta importanza al gioco da associarlo a tutte le manifestazioni collettive più importanti. I giochi olimpici, nell’antica Grecia, erano un avvenimento che faceva sospendere le guerre. Nei tempi moderni programmi televisivi basati sul gioco (come, in Italia, “Lascia o Raddoppia” negli anni 50 del secolo scorso) hanno, a volte, il potere di bloccare un intero paese. Anche gli animali giocano e questa attività è fondamentale per lo sviluppo “senza rischi” di capacità, come quella di cacciare, importanti per la sopravvivenza  della specie. In alcune lingue si usa addirittura lo stesso termine (per esempio “game“ in inglese) per indicare il gioco e la selvaggina. Antropologi, sociologi e pedagogisti  hanno studiato lo “strano” fenomeno del gioco descritto come un’attività con caratteristiche del tutto particolari: deve essere libera (non si può “giocare”, se qualcuno te lo ha ordinato), circoscritta entro limiti di spazio e tempo precisi, incerta, improduttiva, regolata da convenzioni proprie e “fittizia” cioè accompagnata dalla coscienza che si fa “per finta”. Le conclusioni sono state sorprendenti: secondo alcuni studiosi il gioco riproduce la realtà umana in cui si sviluppa ma secondo altri è addirittura all’origine della cultura. Johan Huizinga, nel suo saggio “Homo Ludens” (1938), sostiene, per esempio, che è attraverso il miscuglio di fantasia e di disciplina, di ricerca di novità e di rispetto delle regole, di passione e di distacco tipici del gioco che il cervello umano ha acquisito le abilità da cui si è sviluppata la civiltà. Il gioco, insomma, non è un’attività banale ma è un modo  in cui mente e corpo imparano continuamente a funzionare per far fronte alla necessità della vita  in modo creativo ed efficace. E così, come ci sono vari aspetti della realtà, ci sono anche vari tipi di giochi. Virtù e fortuna, cioè abilità personale e caso, sono, per molti filosofi (tra i quali il più famoso è, forse, Nicolò Machiavelli) i due fattori che determinano il destino degli individui e dei gruppi. I nostri giochi riflettono molto bene questa credenza. Ci sono infatti “virtuosi” giochi di abilità (come lo sport e gli scacchi) e giochi il cui esito dipende solo dalla fortuna, come i giochi d’azzardo. Perché davvero questi giochi siano una “palestra” per la vita devono prevedere la possibilità di guadagnare o perdere “tutto” in maniera indipendente dalle capacità del giocatore, il quale deve quindi “credere” nella fortuna e accettare il rischio della sfortuna. Questo atteggiamento, apparentemente assurdo, è invece alla base di molti progressi dell’umanità. Senza la passione per il rischio in quanto tale, che ha indotto i nostri simili a tentare l’ignoto, pur temendo i pericoli, alla ricerca di un grande ed incerto premio, non avremmo probabilmente né navi, né aerei, né grattacieli, né cardiochirurgia, né internet, né, ahimè, tanti eroi e tanti scavezzacollo spariti prematuramente da questo mondo.

Cervello, economia, gioco d’azzardo

Una funzione così importante per la nostra specie non può che avere una base biologica. E infatti è ormai dimostrato che il gioco si associa all’attivazione di certe zone del cervello, le stesse coinvolte in comportamenti “veri” di fondamentale importanza per la sopravvivenza come la ricerca del cibo, il desiderio sessuale, l’istinto di difesa e di attacco, l’attaccamento per la prole. Sono le stesse aree attivate dalle sostanze che oggi chiamiamo droghe ma anche, come si è recentemente scoperto, anche dai comportamenti economici che comportano guadagni in denaro o evitamento delle perdite.  Ricerche  in  neuroeconomia, una nuova scienza che studia le basi neuropsicologiche delle decisioni in campo economico, hanno infatti recentemente dimostrato che nel nostro cervello entrambe le situazioni  producono effetti simili. Il gioco d’azzardo, quindi, come le tossicodipendenze farmacologiche, sarebbe la situazione limite della normale apparente irrazionalità che governa le nostre scelte più “serie”.

 Il gioco d’azzardo come malattia

Dato quello che sappiamo sulle analogie neurobiologiche tra gli effetti di certe sostanze e gli effetti del gioco non c’è da stupirsi se, proprio come avviene con l’alcol e con la cocaina, anche per il gioco d’azzardo si manifesta, a volte, una sorta di “malattia” che possiamo chiamare “dedizione patologica” caratterizzata dalla perdita di controllo sul proprio comportamento. La persona colpita non riesce più a programmare le proprie azioni, cerca di cambiare ma non ci riesce, viene presa da una specie di “demone” che la fa sentire estranea a se stessa, ossessionata da un’idea che finisce per detestare ma da cui non sa staccarsi. Sa di ricevere più danni che vantaggi dal suo comportamento ma non riesce a farlo cessare e si chiede perché. A questa domanda sono state date molte risposte, più o meno confermate dai fatti. La tesi più diffusa tra chi non ha mai sperimentato nessuna dipendenza è che tutto sia dovuto a malafede, stupidità o  “debolezza di carattere”. In realtà nessuno studio condotto con i metodi della ricerca scientifica è mai riuscito a dimostrare nulla di tutto di ciò. Del resto, se si fa una rassegna dei personaggi di cui è nota la passione “patologica” per il gioco, vi si trovano veramente persone di ogni genere: grandi registi, uomini politici, magistrati, poeti, sportivi e anche medici e psicologi, non certo famosi per la loro “fragilità”.  Negli ultimi anni una scoperta non troppo piacevole ha definitivamente chiarito che il gioco d’azzardo patologico può essere, in realtà, una vera malattia che colpisce persone con qualunque personalità. Si è infatti visto che alcuni farmaci, usati per trattare una malattia neurologica che si chiama morbo di Parkinson  e che agiscono proprio su quei sistemi neuronali a cui abbiamo accennato producono, come effetto collaterale, la comparsa del comportamento tipico del giocatore. Si è visto anche che questo comportamento cessa quando il farmaco viene sospeso.  A controprova  di ciò si è dimostrato che il nalmefene, un farmaco (non ancora disponibile in Europa) che blocca gli effetti degli oppiacei ed è usato per l’alcolismo è in grado anche di ridurre notevolmente la frequenza del gioco in persone affette da gioco d’azzardo patologico (GAP). La conclusione  è che  le persone affette dal problema non smettono di giocare  nonostante il danno perché il loro cervello, attraverso la deviazione di una serie di meccanismi psicofisiologici fondamentali per la nostra sopravvivenza individuale e di specie, produce uno stato di estremo disagio in assenza del gioco. Questo stato psicofisico viene chiamato “craving” nella letteratura scientifica internazionale, ma la parola più adatta per descriverlo in italiano è “smania”.

 La smania

 La comparsa della smania definita dal vocabolario come “desiderio intenso, agitazione, inquietudine fisica e psichica dovuta a impazienza, nervosismo, fastidio  è il sintomo cardine delle dedizioni ivi compreso Gioco d’Azzardo Patologico (GAP).  Il termine “smania”, utilizzato in italiano fin dal ‘300, descrive, però,  uno stato che non è certo riferito specificamente alla situazione di chi è dedito al GAP. In condizioni fisiologiche, infatti, gli uomini e gli animali, sono presi da smania quando devono mettere in atto comportamenti essenziali per la sopravvivenza della specie, anche a costo di correre gravi rischi  individuali: la ricerca del cibo per sé e per i propri simili (caccia), la sessualità (innamoramento), la cura della prole (amore materno), l’aggressività (guerra).  Tutto ciò non ha a che fare con il piacere ma con la passione. Oggi non c’è bisogno della passione per la caccia per sfamare la famiglia, né della passione degli innamorati per riprodursi rischiando la vita, né di quella delle madri per salvare i piccoli da catastrofi e saccheggi, né di quella dei guerrieri per impadronirsi delle risorse utili alla sopravvivenza della tribù. Ma il nostro cervello si è evoluto durante 170.000 anni di preistoria e solo alcuni millenni di civiltà, perciò la struttura della nostra mente ancora oggi, ha molto in comune con quella dei nostri più lontani antenati e ciò spiega perché anche la nostra attuale organizzazione sociale, in fondo, sia spesso dominata dalle passioni (per l’innamorato, per Dio, per la scienza, per il cotechino, per l’Inter, per la patria, per i francobolli) molto più che dai piaceri o dai ragionamenti. Quando una passione diventa la cosa più importante nella vita di una persona, parliamo di dedizione. Come si è detto queste condizioni hanno un  riscontro neurobiologico. Grazie alla neuroradiologia, oggi, possiamo studiare anche il cervello umano in attività. Abbiamo così scoperto che la comparsa della smania associata a queste “passioni” comporta l’attivazione di quei particolari sistemi neuronali e di quelle aree cerebrali, non coincidenti con quelle del piacere, che rappresentano probabilmente la specifica funzione della “concupiscenza” cioè del desiderio “appassionato” e del comportamento finalizzato a soddisfarlo. Il gioco d’azzardo, agisce probabilmente su questo sistema. Possiamo quindi ipotizzare che il GAP sia una malattia nel senso che è probabilmente correlato ad uno squilibrio di questo sistema, instauratosi nel tempo. Squilibri analoghi, peraltro, si manifestano anche con altre “manie” non indotte da sostanze, ma molto simili dal punto di vista clinico, tutte collegabili ai comportamenti sopra citati: cibo (bulimia, prodigalità), guerra (temerarietà e sport estremi), sesso (ninfomania, satiriasi), amore (dipendenza emotiva). Possiamo quindi concludere che, il motivo per cui chi è dedito al GAP non riesce a smettere quando vorrebbe farlo è molto vicino al motivo per cui alcune persone continuano a telefonare all’innamorato infedele che vorrebbero lasciare senza riuscirci: sono in preda al proprio irragionevole sistema neurorecettoriale che,  incautamente esposto troppo a lungo a quel comportamento o a quella persona, ha registrato erroneamente queste situazioni  come indispensabili alla vita e segnalano la loro mancanza con una (quasi) intollerabile smania che deve essere ad ogni costo appagata.

 Perché molte persone smettono  di giocare nonostante la smania

Come tutti i comportamenti, il GAP è condizionato, non solo dalla smania, che è uno stato d’animo, ma da molti fattori esterni alla nostra psiche. Il nostro stesso stato d’animo, d’altra parte, è influenzato da moltissimi fattori che non hanno nulla a che fare con la nostra eventuale dedizione. Infine nulla vieta che una persona sviluppi molte passioni, tutte altrettanto “forti” e in grado di contrastare le dedizioni patologiche. E’ noto a tutti il caso della fumatrice accanita che smette di colpo non appena sa di essere incinta ma, anche quello dell’alcolista che smette di bere non appena si innamora (o dell’innamorato che diventa alcolista dopo l’ultimo rifiuto). Il più ovvio motivo per cui una persona riesce a controllare l’incontrollabile, cioè la smania, è infatti, una forte motivazione sostenuta da qualche altra passione.  Su queste osservazione si basano molti programmi terapeutici centrati, per esempio, sulla spiritualità come i programmi di auto-aiuto dei Gamblers Anonymous (GA). Un altro motivo per cui una persona può smettere è che, in certe circostanze,  la smania e la conseguente messa in atto del GAP siano sistematicamente associate alla percezione di esperienze negative e l’astensione sia associata alla percezione di esperienze positive. E’ in questo modo che la maggior parte delle sedotte e abbandonate finiscono per sposare l’amico, meno affascinante ma molto più piacevole, sulla cui spalla, una sera dopo l’altra, hanno pianto (ma sempre meno) il perduto amore. Questa possibilità di condizionamento è sfruttata da molti programmi comportamentali che coinvolgono l’ambiente sociale del paziente.  Può anche succedere che, in un determinato contesto, il significato sociale del gioco cambi completamente e ciò sia sufficiente ad inibire la comparsa della smania. Ciò spiega alcune complete “guarigioni” di chi “cambia vita”. In altri casi, la mente riesce a percepire ed interpretare la smania in una maniera completamente diversa separandola dal comportamento di assunzione.  Questo meccanismo, un po’ più raffinato, viene sfruttato, insieme ad altri, dalle psicoterapie cognitivo comportamentali e richiede in genere un aiuto professionale. In conclusione la smania, e quindi la dedizione, è un fenomeno psicobiologico che si presenta come una reazione indesiderata all’esposizione a certi comportamenti messi in atto per tutt’altri motivi.  La sua manifestazione è condizionata da molti altri fattori biologici, psicologici e sociali.  I diversi metodi di intervento sfruttano questi diversi fattori.

 Perché un programma può fallire

Nonostante le moltissime ricerche effettuate è probabile che cominciamo solo ora a intravvedere tutti gli aspetti dei comportamenti dedittivi, compreso il GAP. E’ quindi difficile spiegare perché a volte un intervento funziona con una persona e non con un’altra. Due cause di fallimento tuttavia sono abbastanza comuni in tutti i trattamenti: la mancanza di sufficiente motivazione e la mancanza del senso di autoefficacia cioè della convinzione di potercela fare. Una persona per esempio può decidere di seguire un programma per smettere di giocare non perché veda la sua abitudine come un problema ma per far cessare le lamentele di famigliari e colleghi. Il suo obiettivo e quello del programma, in questo caso, divergeranno e, molto probabilmente, nessuno dei due sarà raggiunto. In casi di questo tipo, sarebbe molto più utile chiedere un programma centrato sulla motivazione perché per ogni fase del processo di cambiamento sono utili  interventi diversi: per esempio quando l’interessato “non vede il problema” potrebbe servirgli ricevere un supplemento di informazione e uno spazio in cui elaborarla più che indicazioni su come smettere. Altre persone invece sono ben consce della gravità della loro dedizione e dei danni che ne derivano ma, proprio per questo, si sentono impotenti ad affrontarla e, più si sforzano di cercare metodi avanzati e terapeuti esperti, più si convincono della propria incapacità. Per questi pazienti è molto più utile sperimentare direttamente o indirettamente piccoli successi, magari confrontandosi con un amico altrettanto compromesso che “ce l’ha fatta” in un modo qualsiasi, piuttosto che sottoporsi a lunghi percorsi diagnostici e terapeutici che sarebbero solo una conferma della propria inadeguatezza e, in quel momento, peggiorerebbero la situazione.

 Qualcuno a cui tieni ha problemi con il gioco d’azzardo?

Se una persona a cui tieni ha problemi con il gioco d’azzardo, e pensi che li voglia affrontare, puoi suggerirgli questo sito dove, attraverso i nostri link,  troverà alcune informazioni utili su come ottenere un aiuto qualificato. Può succedere, però, che chi ha questo problema rimandi continuamente o apertamente rifiuti l’aiuto professionale. A volte ciò viene giustificato negando di avere un problema. Altre volte il giocatore è costretto ad ammettere che la sua situazione è fortemente compromessa. Ma invece di prendere appuntamento con un servizio o recarsi ad un gruppo di auto aiuto preferisce, in genere dopo solenni promesse di cambiamento, richiedere a famigliari, ad amici (e magari anche ad associazioni e servizi sociali), prestiti, dilazioni di pagamento, raccomandazioni per nuovi posti di lavoro e tutta una serie di altri interventi che dovrebbero rimediare i danni prodotti dal gioco.  Purtroppo, non ostante la sincerità dei buoni propositi, raramente risposte positive a queste richieste producono buoni risultati.  Al contrario: il giocatore così ha la prova che può contare sulle sue di solito ottime capacità di convinzione per tirare avanti ancora un po’ in attesa che un colpo di fortuna risolva tutti i suoi guai.  Qui diamo qualche consiglio pratico che potrebbe essere utile sia al giocatore che alla sua famiglia.

Mariagrazia Fasoli

Prima versione  3 ottobre  2007 , aggiornato il 22 ottobre 2014

Blog

Salute pubblica in rete

Democrazia al lavoro: pazienti, consumatori e cittadini

Tossicomanie ed altre dedizioni

Farmaci, droghe, veleni

Problemi correlati